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"DayAfter" Il giardiniere nell’Italia giungla

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    marted? 11 aprile 2006

    Pagina 6 -LE ELEZIONI

    Il giardiniere
    nell’Italia giungla
      personaggio
      Carlo Bastasin

      PERDUTE le ideologie, alla politica rimane la metafora del giardiniere: uno Stato che semina per il futuro e poi lascia che i rami crescano ordinatamente, evitando la giungla. ?Quando pedalo tra le nostre colline - mi raccontava Romano Prodi negli anni di Bruxelles - so riconoscere, da come sono piantati gli alberi ai bordi delle strade, dove passava il confine con lo Stato pontificio, tra la trascuratezza della mano pubblica e la cura dei campi?.

      Il giardiniere nella giungla non ? mai un uomo felice. Non pu? scegliere da dove cominciare, ? la necessit? che lo comanda, rischia il disorientamento. Oggi, non ancora deposte le armi di una sanguinosa campagna elettorale, gli uomini vicini a Prodi parlano di un'Italia-giungla da rifondare. Lui stesso, in confidenza, ammette che ?bisognerebbe proprio ricominciare da capo?. Come 10 anni fa, la finanza pubblica deve essere bonificata, i costi e i gettiti ramificati vanno potati, bisogna crescere in tempo per la buona stagione della ripresa europea, poi va seminato nelle scuole, riparati gli steccati della giustizia. E lui stesso ha 10 anni di pi?. L'ho rivisto a Roma un po' rabbuiato, meno allegro che in passato, credo che abbia capito che dovr? toccare alcuni convincimenti personali. A met? legislatura compirebbe 70 anni. Ogni tanto sembra che li senta.

      Non sarebbe il suo primo inizio irto di difficolt?. Quello di Bruxelles si rivel? massacrante. Sembr? travolto dal debutto. Nei primi mesi i colleghi della Commissione si chiedevano come avesse fatto a reggere l'Italia. Mario Monti li rassicurava: dategli tempo, vedrete che verr? fuori. E' il famoso teorema del Prodi-diesel che soccorre quando lo si ascolta parlare troppo lentamente in tv: si vorrebbe scuotere il televisore pur di sbloccarlo, salvo poi vederlo prevalere. Si era presentato a Bruxelles con l'obiettivo di ?chiudere la distanza tra la (ricca) retorica europea e la (povera) realt? e nel primo anno, complice ?lo sforzo di lavorare in tre lingue?, sembr? che la distanza si chiudesse al contrario. La stampa straniera lo faceva a pezzi con metodo, tutte le mattine, il suo passato all'Iri, gli intrecci di consulenze di Nomisma, tutto appariva compromettente. Compreso essere italiano: il Times arriv? ad accusarlo di collusione con la camorra. Poi lo scoprirono andare al lavoro in bicicletta, convocare i breakfast informali del mercoled? per creare spirito di corpo nella Commissione prima delle riunioni ufficiali, organizzare cene spontanee per i colleghi con le mogli e invitarli a Bebbio tra le camerate dei settanta nipoti. La Bbc raccont? con evidente stupore di averlo sorpreso a leggere un romanzo. L'esperienza di Bruxelles ? finita in crescendo, l'euro, l'allargamento, la Costituzione. Delle ultime tre Commissioni (da Santer e Barroso) sar? ricordata come la migliore, anche se un importante esponente tedesco mi dice con rimprovero tipicamente teutonico: troppa politica e pochi dettagli, non sempre preparava i dossier, si accontentava di affermare gli ampi principi politici delle decisioni comuni.

      Ma ? proprio il gusto della politica che spinge l'economista emiliano. ?Fa parte della sua natura, era nel latte da bambino - spiega Angelo Tantazzi, uno dei suoi pi? stretti amici - a Reggio Emilia perfino le Messe sono diverse, si canta, si suona, si partecipa?. Una citt? dove c'? controversia sui crocefissi fin negli asili e dove la famiglia Prodi pagava l'affitto al Pci, proprietario di casa. In una bella immagine, la moglie Flavia Franzoni parla di una vita che sembra trascorsa in stanze perennemente affollate, etimologicamente una vita politica. Chi lo conosce bene testimonia di atti di cristiana generosit? e Helmut Kohl racconta la sua commozione nel vederlo al suo fianco al funerale della moglie Hannelore. I due statisti sono legati dall'Europa, dagli insegnamenti del teologo Ruggero Guarini e da un quadro scoperto in Francia che ritrae un chierichetto che ruba il vino, un peccato che entrambi condividono.

      Nel 2001 le promesse elettorali di Berlusconi lo mettevano di buon umore. Una sera, a Bologna, Prodi invent? una gara di slogan surreali che competessero con il ?pi? lavoro per tutti? del Cavaliere. Il suo preferito: ?Pi? crema nei Krapfen!?. Un umorismo bonario, un po' oratoriale, tanto in contrasto con quello del suo rivale. Berlusconi e Prodi sono infatti due ?opposti ottimismi?. Ma chi indulge troppo nella filigrana dei caratteri rischia di perdere di vista che la biografia di entrambi riflette la storia, alta o bassa, degli italiani. Se nel momento della scelta Berlusconi ha puntato la sua identit? politica su minori tasse sulla casa e Prodi invece su minori tasse sul lavoro, ? perch? essi - in misura perfino inconsapevole - sono testimoni della dialettica politica ?capitale-lavoro? che ha separato destra e sinistra in tutto il Novecento.

      Ma oggi governare non consente facili distinzioni ideologiche. La globalizzazione e la politica su scala sovrannazionale hanno ristretto i margini d'azione di destra e sinistra. Il capitale non ha confini e perfino il lavoro comincia a perderli. Di tutti i governi poi quello italiano ? quello che ha meno autonomia dovendo prima di tutto ridurre il debito pubblico. Cancellato il trompe-l'oeil dei conti pubblici ereditati, l'intero mondo di Prodi sarebbe messo a dura prova: la fiducia nella politica attiva dello Stato assorbita dalle folgorazioni di Nino Andreatta, l'etica solidaristica ereditata a Monte Oliveto da Giuseppe Dossetti, gli studi sull'impresa pubblica che gli valsero il primo incarico di ministro, quelli sul pericolo protezionista, la bussola del ?moltiplicatore keynesiano? che sembra ispirare ancora la sua distinzione fiscale tra investimenti produttivi e finanziari. Perfino i distretti, compreso quello di Sassuolo, oggetto del suo primo libro, che oggi si smaterializza esportando non pi? le ceramiche, ma i macchinari che le producono, per le imprese cinesi.
        ?Ho fatto tutto ci? che avrei potuto desiderare di fare - mi spieg? annunciando in anteprima la sua sfida a Berlusconi -, sono gi? stato presidente del Consiglio e poi presidente della Commissione europea, ora posso servire l'Italia senza essere sospettato di interesse personale per il potere. O mi fanno governare sul serio o se ne dovevano scegliere un altro?.
        In caso di vittoria, Prodi tornerebbe a Roma giudicando il Paese diviso e immobile. Ma i rimedi a lui cari, consenso e cambiamento, non vanno facilmente d'accordo. ?Sono 20 anni - spiega un economista bolognese pronto a seguire il professore al governo in caso di vittoria - che Prodi ripete che il cambiamento crea sempre dei perdenti e che la politica deve tenerne conto?. Lo ripete Prodi anche quando parla della Tav e dell'opposizione dei cittadini alle riforme. ?Lo sviluppo pu? inciampare nelle lacerazioni sociali?, spiega il professore pensando alla precariet? giovanile. Ma i cambiamenti a cui deve sottoporsi l'Italia sono tali e tanto profondi da sfidare non solo il consenso del Paese, ma anche quello della coalizione che oggi lo sosterrebbe. La metafora del professore che vive in affitto in una casa di propriet? dei comunisti, come quando era bambino, sarebbe il costante coltello nelle mani dell'opposizione. Come sempre negli ultimi dieci anni, la salvezza del professore sarebbe lo scudo dell'Europa, un bastione da rafforzare, in grado di dare sostanza alle politiche che violano i santuari nazionali del consenso. In caso di sconfitta di Prodi le conseguenze si ripercuoterebbero infatti anche sull'Unione europea e sui suoi tentativi di rilancio. Un prezzo insopportabile in particolare per un ex presidente della Commissione.

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