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"Cult&Info" Precari 2: nell’azienda dell’Erremoscia

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    mercoledì 11 gennaio 2006
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      PRECARI 2.
      STORIE DI RICATTI DIRIGENZIALI E RISCATTI DEI DIPENDENTI
        La realtà del precariato attraverso i racconti delle generazioni che lo subiscono. Gli autori di "Tu quando scadi?" (Manni editore, Lecce) sono gli ideali rappresentanti dei sette milioni di precari oggi presenti in Italia che raccontano,
        con un registro ironico e insieme drammatico, le loro ordinarie storie di sfruttamento.
          Come venire assunti nell’azienda dell’Erremoscia

          Un lavoratore dell’Erremoscia
          "Allora Brunazzi, quanto vuoi per levarti dalle scatole?" Ogni giorno la stessa storia. Il direttore arriva, e prima di entrare nel suo ufficio, che è davanti alla cassa in cui mi han sbattuto a lavorare, mi ripete la stessa domanda: "Allora, Brunazzi, quanto per levarti dai coglioni?" Ormai è un automatismo. Non mi guarda neppure più in faccia. E non lo guardo neanche io. Anche per me è un automatismo: quanto voglio? Un miliardo,
          voglio. Io non mi sono mai visto come un duro, un tenace, uno che fa questioni di principio. Ma nessuno aveva mai cercato di rubarmi la mia dignità. Nessuno. essuno, almeno prima di venire a lavorare qui, alla Grande Famiglia dell’Erremoscia. Sapete, voi quando fate la spesa non ve ne accorgete, ma la cassa è una tortura. Esistono anche dei rapporti che
          dicono che lavorare troppo in cassa è rischioso per la salute, oltre ad essere una cosa alienante, da pazzi. Per questo mi ci hanno sbattuto, anche se il mio contratto è diverso. Perché ho rotto troppo i coglioni, e non riescono a sbarazzarsi di me. Ho rotto i coglioni: sapete cosa significa questo? Che ho cercato di difendere i miei diritti di lavoratore in una Repubblica fondata sul lavoro.Tutto qui. E loro mi vogliono far fuori. E non ci riusciranno, non senza pagare un alto prezzo. No no.

          Tanto per fare un esempio. Il mio amico Cesari l’han sbattuto in cassa perché aveva dato un bel grattacapo alla Erremoscia: lui studia, e alla Erremoscia non piace che uno faccia qualcosa d’altro invece che lavorare. Cesari si prendeva le licenze per studio, cui aveva diritto, e poi sulla busta paga si trovava tutte assenze ingiustificate. Dopo tre assenze ingiustificate, lo volevano licenziare. Lui ha fatto lo sciopero della fame, per dodici lunghi giorni. Che due palle d’acciaio che ha Cesari. E loro l’han
          sbattuto in cassa, a far turni allucinanti. Cesari ha tenuto duro, poi
          gli è venuta una tendinite calcificata alla spalla, un casino. Ora è in
          causa, perché quel disturbo è collegato alle ore in cassa.

          Che poi, magari voi pensate che è stato facile essere assunti, diventare
          dipendenti qui all’Erremoscia, coi diritti e tutto. Per niente. Qui non ci
          sono dipendenti. Sono tutti assunti tramite cooperative fantoccio di cui si diventa soci. Uno pensa che esser socio sia meglio, invece hai meno diritti, sei molto più ricattabile. Sei socio, ma di fatto lavori come dipendente nei magazzini dell’Erremoscia. Il magazzino è il cuore di tutto. Se si ferma quello, la Grande Famiglia entra in crisi, è fottuta. Perciò non
          possono permettere che succeda niente. Ora io pensavo che in un paese civile, se si vuol far in modo che tutto funzioni, che i lavoratori si diano da fare e che lavorino bene, li si debba invogliare, motivare, trattare con rispetto e dignità. Invece no. Invece, sei uno schiavo. Lavori senza sosta, senza ferie, senza malattia. Alle volte ti chiamano pure la domenica, e se dici no non ti chiamano più, e non lavori. Non ti licenziano mica: non sei dipendente dell’Erremoscia, ma socio di una cooperativa fantoccio.
          Se qualcuno si appella al sindacato, sta a casa. Alla prima, apparente alzata di testa, sta a casa. Tanto c’è sempre qualche altro disperato con cui sostituirti, specie adesso che ci sono tanti immigrati che fan tutto quello che gli dicono di fare, pur di mandare i soldi a casa. È difficile organizzarsi per le rivendicazioni. Di solito, il malcontento nei magazzini si sfoga a livello personale.
            Unirsi nella lotta.
            Impossibile mettersi assieme nella lotta. Gesù, non avrei mai pensato di finire a parlare in questi termini: "unirsi nella lotta". Io sono solo uno che vorrebbe poter lavorare, come è nei miei diritti. Impossibile unirsi, anche se tra tutte le cooperative si è in tanti. E i sindacati non riescono
            a farci nulla, non è nemmeno che ci provino tanto a lungo. Bisogna cavarsela da soli. Io, Cesari e Vergano ci siamo guardati in faccia, abbiamo guardato in faccia quelli che lavoravano con noi, e abbiamo deciso che non ci saremmo adattati. Che non ci saremmo fatti ridurre ad ammassi di rabbia e frustrazione. Che avremmo fatto qualcosa, almeno per noi, se agli altri non interessava. I sindacati li abbiamo evitati: quando sono stati messi in mezzo, han fatto solo danni, accettando manciate di lire in cambio del ritiro delle vertenze, e meno male che il loro lavoro è quello di difendere la dignità dei lavoratori. Per fortuna c’era Cesari, che ha studiato e conosceva dei tizi di un centro sociale che si sono interessati alla nostra causa e ci hanno messo in contatto con degli avvocati molto in gamba, di quelli che difendono davvero la giustizia e infatti viaggiano con le pezze al culo e la barba mal fatta. Abbiamo portato testimonianze e prove, Vergano ha convinto altri a testimoniare, e come in uno di quei film americani sugli avvocati sfigati
            che inculano la multinazionale, abbiamo messo l’Erremoscia al muro: abbiamo provato che i carrelli che usavamo per lavorare erano di proprietà del supermercato, non della cooperativa, e che la gestione del magazzino era in mano all’Erremoscia, e che quindi non esisteva l’autonomia lavorativa, prevista dalla legge per le cooperative e i loro soci, che dovranno ben gestirsi il lavoro come gli pare.
              Demansionamento.
              E così ci hanno assunto, in sei. Ora abbiamo un regolare contratto e soprattutto diritti sanciti per legge. Che colpaccio, e che batosta per l’Erremoscia. Ci siamo sentiti degli eroi, davvero. È una bella cosa prendere in mano la situazione dove nessuno osa e avere la meglio. Ma non era ancora finita. Per dirla tutta, ci trovammo dalla brace nella padella, ma avevamo pur sempre il fuoco sotto al culo. Da dipendenti si
              sta meglio, per carità.Abbiamo dei diritti, ma siamo noi a doverli salvaguardare, a doverli avere ben chiari in testa, altrimenti li scavalcano
              con naturalezza, qui. È per questo che m’han sbattuto in cassa.
              Sperano che me ne vada, che mi stanchi e me ne vada, perché gli ho rotto troppo le scatole. Con me stanno usando la strategia del demansionamento: vieni assunto per un ruolo specifico, e vieni invece
              sbattuto a fare altro, tipo pulire per terra o stare alla cassa, appunto, finché non ti stanchi e ti licenzi. E noi che credevamo di ottenere chissà che, da dipendenti. Macché: tanto per cominciare ti assumono al sesto livello, quanto il contratto nazionale prevede che tu sia assunto al quinto. Ed è per questo che mi son lamentato e son finito in cassa. E gli straordinari? Il contratto prevede un massimo di 200 ore all’anno, ma loro cosa fanno? Semplice, rigirano la frittata in modo che sembri che devi fare almeno 200 ore all’anno. E se non lo fai ti mandano una lettera di avvertimento, come minimo. Se non stai attaccato coi denti ai tuoi diritti, non ne hai. Ma se lo fai, ti torturano. Ti sbattono in cassa all’infinito, come han fatto con me e Cesari e come fanno soprattutto con le donne, oppure ti rifiutano i permessi che hai chiesto, oppure ti portano nel retrobottega in tre o quattro e ti fanno un bel discorsetto…finché non ne puoi più e ti licenzi. E loro prendono uno più disperato di te, che rusca e sta zitto, perché ci ha i figli da mandare a scuola e il mutuo da pagare.
                Dignità e orgoglio.
                Fanno così, come farebbero i mafiosi. Ma con me non funziona. Se devo qualcosa a questi delinquenti, è che, cercando di sottrarmeli, mi hanno insegnato cos’è l’orgoglio, cos’è la dignità. Io ce l’ho ben chiara l’importanza della mia dignità, e tutti i giorni combatto e stringo i denti,
                e lo farò finché ne avrò la forza. E anche se ormai al direttore gli rispondo automaticamente, ogni volta che mi chiede quanto voglio per andarmene e gli dico un miliardo, io mi sento forte, in quel momento è come se una luce mi si accendesse dentro e illuminasse la mia dignità, in modo che
                né io, né soprattutto loro, possiamo dimenticarci che esiste, e che
                è la cosa più importante.

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