3/7/2006 ore: 11:28

"Corporazioni" Dal Medioevo al fascismo e alla Dc (F.Merlo)

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    luned? 3 luglio 2006

    Pagina 1 e 6 - Economia

    LA STORIA
      Clan, clientele e tribalismo ristretto: il mestiere ? diventato troppo spesso una famiglia allargata
        Dal Medioevo al fascismo e alla Dc
        un Paese fondato sulle corporazioni
          Nate come strumento di difesa, oggi sono un rifugio di privilegi

          Francesco Merlo
            LA CORPORAZIONE non ? di destra. Anzi, ? la difesa di privilegi che spesso sono spacciati per conquiste sindacali. Ed ? un?ingenua demagogia o, forse, un?insensatezza pura e semplice lasciar pensare che contro le liberalizzazioni, coraggiosamente iniziate dal governo Prodi, insorger? il centrodestra, e che i tassisti romani daranno del comunista al ministro Bersani o che i farmacisti daranno la colpa alla falce e martello di Diliberto.

            La verit? ? che, come ha scritto Eugenio Scalfari, siamo all?inizio – appena all?inizio – di un sano processo di smantellamento di rendite di posizione, di incrostazioni e di privilegi, che rendono pi? costosa e pi? pesante la vita quotidiana, dal prendere un taxi al comprare un?aspirina, dall?aprire un negozio al fare impresa.

            Diciamolo pi? chiaramente: le liberalizzazioni sono il sogno dell?elettore di centrodestra, uno dei tradimenti del governo Berlusconi. E dunque il rischio non ? certamente quello dei camionisti cileni e delle padelle in piazza. Il vero rischio, qualora il processo andasse davvero in fondo, potrebbe essere la reazione del sindacalismo senza se e senza ma, la tentazione del sindacalismo corporativo che difende come diritti dei lavoratori la vita comoda del topo nel formaggio.

            D?altra parte, il corporativismo non ? un oltranzismo o una deviazione sindacale, ma quella natura antica, prepotente e incapace di misurarsi con il mercato, in nome della famiglia, della clientela, del clan, per la salvaguardia delle prerogative e degli interessi costituiti, si tratti di pescivendoli che fanno incetta di licenze o di politici che si aumentano gli stipendi e mettono a carico degli italiani mogli, figli e parenti, tutti da eleggere nella corporazione dei parlamentari.

            Qualche anno fa, raccomandato dal padre che era stato ministro, il figlio dell?onorevole Azzaro fu cooptato, anzi fu "in-corporato" come assessore nel Comune di Catania. Timido e mite, quel ragazzo, che non parlava mai, fu dall?architetto Giacomo Leone soprannominato ?il muto agevolato?. Ebbene, l?Italia ? un paese di muti agevolati, di raccomandati inetti, dai banchieri ai macellai, dai giornalisti ai tabaccai, dai pizzicagnoli ai notai.

            In Italia non si entra nei mestieri, vale a dire nelle corporazioni, se non per cooptazione familistica.

            Filo che unisce fascismo, regime democristiano e sindacato comunista, la corporazione in Italia ? una famiglia allargata, ? tribalismo ristretto, ? cosca feroce.

            Prendiamo gli architetti, per esempio. Ogni parcella che l?architetto presenta al cliente deve prima ottenere la vidimazione dell?Ordine degli architetti che preleva l?1,5 per cento - il pizzo? - dell?importo complessivo. E accade anche, nei casi peggiori, che qualche presidente dell?Ordine imponga un?aggiunta illegale al pizzo legale. ? una funzione vessatoria, il cui costo ricade sul committente.

            Spostatevi adesso in una qualsiasi facolt? universitaria e controllate le targhette dietro le porte delle stanze dei docenti. Certamente troverete inquietanti omonimie, proprio come nella Gea, la societ? del figlio di Moggi. Anzi, in qualche universit?, come in quella di Bari per esempio, la successione nelle cattedre sembra la dinastia dei Luigi di Francia, i quali si accanirono ben sedici volte, sino alla ghigliottina. Insomma, anche nelle universit? italiane prevale la logica del cognome, fondamento e garanzia della corporazione, e i figli subentrano ai padri nella titolarit? degli insegnamenti in consapevole opposizione alle regole del mercato e con la faccia tosta di ritenere che il criterio cooptativo-corporativo assicura la qualit? professionale.

            In Italia tengono famiglia anche i vescovi, che sono una corporazione potentissima. E cos? in questura, tra i carabinieri, tra i commessi parlamentari e tra i bancari che addirittura per statuto lasciano il posto al figlio. Per non parlare dei giornalisti che spesso contrattano l?anticipo dell?uscita in pensione in cambio dell?assunzione di un familiare. Il tratto distintivo del mercato del lavoro, anche del lavoro usurante, non ? il clientelismo, come qualcuno ha sostenuto, ma ? il familismo, ? la corporazione che si difende e si riproduce con la famiglia, ? la premodernit? come incapacit? italiana di misurarsi con il mercato.

            Liberare l?Italia dalle corporazioni non ? un?istanza antifascista. Prodi non ? Einuadi che prende le distanze dal lascito del sindacalismo corporativo del Ventennio. Il corporativismo infatti ? un?eterna tentazione italiana che parte dalle Gilde medievali, passa per il sindacalismo delle leghe operaie, artigiane e contadine rosse e bianche, socialiste e cattoliche prima; per quello fascista dopo, e infine comunista.

            Da strumento di difesa ? diventato rifugio di tutti i privilegi, di tutti i ritardi e di tutti gli abusi che in alcuni settori del movimento operaio vengono inscritti nell?orbita dei Soviet.
              N? una padella, n? una piazza dunque per i tassisti, i notai, i farmacisti. L?Italia competitiva, meno cara e pi? moderna, sar? un affare anche per loro.

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