4/9/2006 ore: 10:51

"Conti" Il sindacato nella tenaglia (G.Berta)

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    luned? 4 settembre 2006

    Pagina 1 e 14 - Editoriale

    Il sindacato
    nella tenaglia

    Giuseppe Berta
      DI fronte alle prime battute del confronto tra le ?forze politiche e sociali? (come recita la formula di rito) in merito alla nuova Finanziaria, ? difficile resistere al senso di stanchezza che deriva da un'impressione di d?j?-vu, come dinanzi a un copione costruito un po’ meccanicamente. Dopo una disputa sulla terminologia pi? adeguata (sono ?tagli? o ?riforme? quelle che dovr? contenere la nuova legge di bilancio per il 2007?), ora la parola ? passata a un gioco di botta e risposta fra politici e sindacalisti, la cui posta sembra legata al grado di accettabilit? sociale della nuova manovra finanziaria. Il ruolo ricoperto dalle organizzazioni sindacali in questo schema ? duplice: da un lato, davanti alle prime avvisaglie delle priorit? della Finanziaria, esse devono esprimere il loro giudizio, che ha il valore di una sorta di monito al governo; dall'altro, la loro posizione ? utilizzata dalle componenti che formano l'ala sinistra del governo (Verdi, Comunisti italiani, Rifondazione) come un criterio per schierarsi a loro volta. Il sindacato si trova, insomma, in una condizione di oggettiva difficolt?, se non proprio di involontaria ambiguit?: deve dare voce ai suoi orientamenti e cercare di indirizzare l'azione di governo, sapendo gi? al contempo che trover? degli alleati i quali rischiano per? di irrigidire gli schieramenti interni alla maggioranza, col pericolo di ridurre i margini di negoziato. Per giunta, questo schema si gioca all’ombra di una cornice ideologica carica anch’essa di ambiguit?, quella della concertazione, richiamata nei programmi della coalizione di centrosinistra, ma ardua da mettere in pratica alla prova dei fatti.
        Il problema ? che la concertazione non costituisce pi? una cornice di politica economica effettivamente praticabile.
          E non solo perch? il quinquennio del governo Berlusconi l’ha relegata nel passato. Ma perch? si stenta a immaginare come farla funzionare concretamente, con uno stato dei conti pubblici come quello dell’Italia. ? vero, come ricordano i sostenitori della concertazione, che essa ha funzionato bene all’inizio degli Anni Novanta, quando la centralizzazione dei contratti ha permesso di porre sotto controllo la dinamica dell’inflazione. Ma gi? alla fine del decennio aveva perso gran parte della sua efficacia, come testimoniano alcuni grandi accordi (per esempio il ?Patto di Natale? sottoscritto dal governo D'Alema alla fine del 1998), destinati ad avere ben poco effetto, nonostante il numero delle rappresentanze d’interesse che li avevano approvati.
            Oggi, dinanzi alla questione delle pensioni, le incertezze della concertazione si rivelano per esteso. Il sindacato, per la propria stessa natura, ? certamente tenuto a far valere gli interessi di chi rappresenta quando il governo avanza delle proposte di revisione del sistema pensionistico. Soprattutto perch? si tratta di fissare le disposizioni che regoleranno il ritiro dalla vita attiva nei prossimi anni, in una fase di transizione fra differenti regimi previdenziali. Ma il governo si accinge anche a varare provvedimenti che incideranno significativamente sul prelievo contributivo dei cosiddetti ?parasubordinati?, per i quali ogni aumento dei costi previdenziali ha un immediato riflesso nella busta paga. Ora, si tratta di una massa ampia di lavoratori per i quali non esiste vera rappresentanza: pu? legittimamente farsene carico la concertazione? Il fatto ? che l'esecutivo, adesso pi? che mai, ? chiamato a legiferare su materie che riguardano il futuro, toccando perci? interessi che o non sono adeguatamente rappresentati o non sono ancora nemmeno costituiti. Le rappresentanze hanno invece il compito di tutelare interessi che esistono e che sono il nucleo della loro forza organizzata.
              I contrasti d’interesse affondano le loro radici nella realt? e non possono sempre essere ricomposti a priori. Oggi la societ? italiana ? nel vivo di un processo di trasformazione che riguarda l’intera Europa e ne mette in discussione i modelli economico-sociali. Occorre affrontare delicati nodi di prospettiva che riguardano il nostro futuro; non basta arginare le urgenze maggiori del presente. Ecco perch? ? il momento di esplorare nuove strade nella politica economica, che lascino autonomia ai soggetti senza pretendere di aggiustare aprioristicamente contraddizioni che sono insite e stratificate nei nostri assetti sociali. Anche se ci? dovesse comportare qualche motivo e occasione di conflitto.

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