"Commenti" Lavoro, discutiamo di numeri e non di slogan (C.Damiano)
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marted? 16 maggio 2006
Pagina 39 - Opinioni
RISPOSTA A ICHINO
Lavoro, discutiamo di numeri e non di slogan
di Cesare Damiano* *segreteria Ds, responsabile lavoro
Ha ragione Pietro Ichino a parlare di un passo avanti, da parte di tutti, sui temi del lavoro. Il prossimo governo di centrosinistra dovr? affrontare questo argomento come una delle priorit? della sua azione politica di avvio di legislatura. Le attese sono molte, come le idee, ma si possono gi? individuare alcune linee di tendenza essenziali a partire dai contenuti indicati nel programma dell'Unione. In primo luogo, il Paese ha la necessit? di agganciare la annunciata ripresa dell'economia internazionale e di ritrovare la via della competitivit?. Da questo punto di vista risulta indispensabile agire, come indicato da Prodi, nella direzione della diminuzione del costo del lavoro (il cosiddetto cuneo fiscale). Questa manovra, che nelle previsioni dovr? riguardare cinque punti percentuali, andr? equamente ripartita tra impresa e lavoro portando, in questo modo, a una serie di risultati: la diminuzione degli oneri per le imprese, l'aumento delle retribuzioni e, di conseguenza, il miglioramento del clima sociale. ? una misura che contiene in s?, contemporaneamente, elementi di efficienza e di equit?.
In secondo luogo, occorrer? intervenire per ridurre l'area della precariet?. Su questo tema si ? molto discusso, anche con opinioni radicalmente diverse, ma alcuni punti di ragionamento comune si possono fissare.
Per l'Unione il tempo indeterminato deve tornare ad essere la forma normale di lavoro, senza per questo negare la ?buona flessibilit? per le imprese quando queste si trovano di fronte a esigenze di aumenti di produzione o di servizi che non siano programmabili. Per andare in questa direzione occorre: incentivare le assunzioni a tempo indeterminato e il passaggio dalla flessibilit? alla stabilit?; cancellare le forme di lavoro pi? precarizzanti (ad esempio il lavoro a chiamata e lo staff leasing ); fare in modo che il lavoro temporaneo costi pi? di quello stabile; dotare anche il lavoro flessibile di tutele di base; riformare gli ammortizzatori sociali.
Come osserva Pietro Ichino, da alcuni anni a questa parte ?quasi met? (40,5%) di coloro che entrano nel mercato del lavoro trovano inizialmente occupazione in un rapporto precario?. Questa affermazione si fonda sui dati della Banca D'Italia. Un punto di vista, sicuramente pi? empirico, basato su alcune rilevazioni dei centri per l'impiego delle principali province italiane (Milano, Torino, Genova, Bologna, ecc.), indica come nelle aree forti del Paese la quota di lavoro precario nelle nuove assunzioni del 2005 sia pari al 70%. Ma quello che qui interessa rilevare non ? tanto la differenza quantitativa, quanto la conferma di una tendenza alla crescita della precariet?. Infatti, nel 2001 (anche grazie al credito d'imposta introdotto dal centrosinistra e successivamente cancellato dal governo Berlusconi), le nuove assunzioni erano per l'80% a tempo indeterminato. ? altrettanto evidente che occorre distinguere tra la tipologia delle nuove assunzioni e quella del cosiddetto stock occupazionale. Siamo tutti d'accordo sul fatto che il totale dell'occupazione dipendente in Italia sia ancora largamente dominato dal lavoro stabile, oltre l'85%, ma questa situazione, come l'aritmetica ci insegna, potrebbe essere sensibilmente erosa da nuove assunzioni prevalentemente o significativamente contrassegnate dal lavoro precario.
Infine, va affrontato il problema della lunga permanenza nella precariet?, che tende a dilatarsi e a coinvolgere i lavoratori nel periodo centrale della vita di lavoro e, molto spesso, i cosiddetti ?over 45? espulsi dai processi produttivi a seguito delle ristrutturazioni aziendali.
Per modificare e migliorare la situazione esistente ? fondamentale che l'organizzazione del lavoro delle imprese accolga e accompagni i percorsi di stabilizzazione, al fine di passare da una fase iniziale di flessibilit? all'accesso al lavoro a tempo indeterminato. Non a caso il programma dell'Unione prevede di fissare una quota massima percentuale di occupati non standard rispetto all'occupazione complessiva dell'impresa. Il ritorno alla concertazione ? lo strumento che pu? garantire il giusto rapporto tra crescita della competitivit? e tutela del lavoro.
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