12/3/2003 ore: 12:06

"Commenti&Analisi" Welfare, c'era una volta il mito tedesco - di B.Romano

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Mercoledí 12 Marzo 2003
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Welfare, c'era una volta il mito tedesco

DI BEDA ROMANO Di tutti i rapporti, rendiconti e documenti che il Governo federale pubblica ogni anno - quasi a pagare nei confronti dei tedeschi un debito di trasparenza dopo il periodo nazista - vi è una relazione di appena 150 pagine, forse più rivelatrice di qualsiasi altra sulla crisi economica e sociale della Germania: è il Subventionsbericht der Bundesregierung. In questo rapporto pubblicato dal 1967 con cadenza biennale, il Governo tedesco riepiloga voce per voce i numerosi aiuti che nel corso dell'anno sono distribuiti a pioggia dall'amministrazione federale. Il documento è una cartina di tornasole al tempo stesso della ricchezza e della crisi del Paese: per quanto ancora la Germania potrà dedicare fino al 7,5% del suo prodotto interno lordo a ogni genere di sussidi? Dopo essere stato un modello in Europa e in America per tutto il Novecento, il Vater Staat - un intreccio di previdenza pubblica e di aiuti statali ideato dal cancelliere Otto von Bismarck - è ormai finanziariamente insostenibile. L'invecchiamento della popolazione, tra le altre cose, rende urgente una riforma del generoso Sozialstaat: una parte del Paese ne è consapevole.
Al Bundestag. Dopo lunghe incertezze, il Governo del cancelliere Gerhard Schröder ha aperto tre fronti: la riforma del Welfare State, la riforma del mercato del lavoro, e la riforma del settore sanitario. Schröder dovrebbe chiarire venerdì con un discorso al Bundestag quanto vorrà e potrà essere riformista. L'esito della partita è ancora molto incerto: a 120 anni dalla sua nascita, lo Stato assistenziale rimane un pilastro della società tedesca. Il sistema previdenziale tedesco nasce tra il 1883 e il 1889. Su iniziativa di Bismarck, la Germania guglielmina decide di introdurre l'assicurazione contro le malattie (nel 1883), l'assicurazione contro gli infortuni (nel 1884) e l'assicurazione contro l'invalidità e la vecchiaia (nel 1889). Alla fine dell'Ottocento, il Paese non è solo all'avanguardia nel campo tecnologico, è anche un modello sociale. Bismarck vedeva nel Welfare State un modo per meglio controllare le masse operaie e soprattutto il partito socialdemocratico fondato nel 1875. Come racconta Hans-Ulrich Wehler in «Das Deutsche Kaiserreich», nel 1878 il vice cancelliere Udo von Stolberg definì l'impianto il «necessario contrappeso» alle leggi antisocialiste volute dalle élites prussiane, convinte che l'industrializzazione del Paese e il controllo del potere passasse attraverso l'uso accorto del bastone e della carota. Il sistema ideato da Bismarck sopravvive alla monarchia, alla repubblica di Weimar, alla dittatura nazista e al secondo dopoguerra rafforzandosi gradualmente e permeando sempre più la società tedesca: nel 1927 è introdotta l'assicurazione contro la disoccupazione; nel 1953 il livello della pensione viene legato non solo all'inflazione, ma anche alla produttività; nel 1969 l'assegno di disoccupazione è esteso a coloro che il lavoro l'hanno abbandonato per propria scelta. Lo Stato previdenziale è ormai un'enorme coperta che avvolge il cittadino tedesco «dalla culla alla tomba»: oltre alla generosa assistenza sanitaria (comprensiva di sedute alle terme o di assistenza a domicilio per le madri che hanno appena partorito), lo Stato garantisce aiuti economici per ciascun figlio, sussidi all'istruzione e all'acquisto di una casa, detrazioni fiscali ai pendolari, e addirittura assistenza finanziaria per il funerale. Il Welfare State poggia oggi su quattro grandi pilastri: pensioni, sanità, disoccupazione e assistenza agli anziani. Tobias Raffel, economista di Roland Berger Strategy Consultants, calcola che «nel 2001 il sistema nel suo complesso è costato alla Germania circa 663 miliardi di euro, pari al 32,4% del Pil». Nonostante alcune riforme - come quella del 1993 per tentare di arginare i costi del servizio sanitario e quella del 2002 che introduce un pilastro privato nel sistema pensionistico pubblico - l'impianto previdenziale è ormai insostenibile.
Tre cause. I motivi sono almeno tre: 1) il rapido invecchiamento della popolazione; 2) l'assenza ormai dagli anni 1970 della piena occupazione (oggi in Germania i disoccupati sono oltre quattro milioni); e 3) l'unificazione tedesca che negli ultimi dieci anni ha pesato in modo particolare sulle casse pubbliche. Il collasso del sistema emerge dalle cifre. Secondo l'Ufficio federale di Statistica, i costi sanitari per abitante sono saliti da 2.030 euro nel 1992 a 2.660 euro nel 2000 (dal 10,1 al 10,7% del Pil). Sul fronte pensionistico, due persone finanziano attualmente la pensione di un tedesco. Tra 50 anni, il rapporto sarà di uno-a-uno. Già nel 2002 i contributi sono stati insufficienti a finanziare le pensioni e lo Stato è dovuto intervenire con denaro fresco per 78 miliardi di euro. La Germania ha una politica del lavoro tra le più generose al mondo: un disoccupato riceve il 67% del suo ultimo stipendio mensile nei primi 32 mesi di disoccupazione. Il rapporto va poi calando, ma secondo molti osservatori non abbastanza per pungolare il disoccupato a cercare lavoro. La stampa non manca di denunciare situazioni paradossali, come quei disoccupati di lusso che vivono a Majorca a spese dell'Ufficio federale del Lavoro di Norimberga. «L'85% dei disoccupati è strutturale, solo il 15% dipende dalla congiuntura», ha detto Hans-Werner Sinn, presidente dell'istituto economico Ifo di Monaco. Il risultato è che nel 2001 l'Ufficio del Lavoro ha versato 70,5 miliardi di euro in assegni di disoccupazione. Generoso, il Welfare State è ormai anche troppo costoso. Il graduale aumento dei contributi previdenziali - pari a oltre il 40% dello stipendio lordo - sta ormai pesando sull'economia. «Il Welfare State scoraggia l'innovazione, la capacità di acquisire qualità professionali e di prendere rischi», sostiene Roland Berger, presidente dell'omonima società di consulenza. Lo Stato assistenziale che in origine doveva proteggere i tedeschi dall'andamento della congiuntura e dagli alti e bassi della vita è oggi una delle cause della stagnazione economica del Paese. Politiche generose. Insostenibile è anche la generosa politica degli aiuti pubblici, l'altra faccia del Vater Staat. Sussidi possono essere versamenti di denaro a fondo perduto, esenzioni o benefici fiscali, crediti a tasso agevolato, garanzie pubbliche. A seconda della definizione più o meno restrittiva, i sussidi sono stati nel 2001 pari all'1,6% del Pil secondo l'Ocse, al 2,8% del Pil secondo il rapporto del Governo federale e al 7,5% del Pil secondo l'istituto economico IfW di Kiel. Nella seconda parte degli anni 90 gli aiuti finanziari sono diminuiti, ma il flusso del denaro continua a irrigare l'economia, soprattutto a Est. «Nel 2002, il Governo ha distribuito aiuti pubblici (diretti o indiretti) per 21,4 miliardi di euro - spiega Raffel, che si affida ai dati dell'Esecutivo -. Il 67% di questo pacchetto è andato alle società o ai settori industriali; il 33% ai nuclei famigliari». Dall'ultimo Subventionsbericht der Bundesregierung emerge che due terzi dei sussidi alle imprese vanno all'agricoltura, all'edilizia, ai trasporti e all'industria del carbone. Detto ciò, anche la politica a favore dei singoli è prioritaria: dal rapporto del Governo emerge solo parzialmente se è vero - come afferma la Bundesbank - che le famiglie con figli hanno goduto nel 2000 di aiuti e detrazioni per circa 150 miliardi di euro. Nel corso degli anni, Vater Staat è diventato sinonimo di Wirtschaftstwunder, il miracolo economico del dopoguerra: riformare il sistema previdenziale significa modificare alla radice il modello tedesco e chiedere ai cittadini (e alle imprese) di rivedere in profondità obiettivi e priorità. A 120 anni dalla sua creazione, mai Stato assistenziale ha permeato e modellato una società occidentale come quella tedesca. Suonano ancora profetiche le parole pronunciate da Bismarck nel 1881: «La questione sociale si affermerà. Ha un futuro davanti a sé. Può darsi che un giorno, quando io non ci sarò più, la nostra politica verrà affossata, ma il socialismo di stato resisterà. Chiunque riprenda questa idea conquisterà il potere». Chi avrà oggi il coraggio di smentirlo?

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