22/7/2005 ore: 11:25

"Commenti&Analisi" Un nuovo compromesso tra capitalismo e sinistra (G.Ruffolo)

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    venerdì 22 luglio 2005


    Pagina 14 - Commenti



    Un nuovo compromesso tra capitalismo e sinistra
      Giorgio Ruffolo
        Capitalismo finanziario: è il titolo di un famoso libro di Rudolf Hilferding, esponente illustre della socialdemocrazia tedesca. Politicamente, molto ingenuo. Pochi giorni dopo l´avvento di Hitler, ad una giovane socialista che gli chiedeva come si dovesse reagire, Hilferding, in pantofole, rispondeva con bonaria ironia: nervi a posto, Hitler se ne andrà come è venuto. Un anno dopo, era costretto a tentare la fuga all´estero: ma, acciuffato dalla polizia nazista, fu torturato e ammazzato.
        Il libro era molto più serio delle sue previsioni politiche. Il soggetto centrale dell´opera era la Società per azioni: una invenzione del capitalismo monopolistico nella quale si realizzava un divorzio tra la proprietà e il controllo della grande impresa. Dal quale poteva svilupparsi un moderno imperialismo (era la tesi di Lenin) ma anche, paradossalmente, una transizione pacifica al socialismo, come aveva sostenuto un improbabile Carlo Marx nel terzo libro del Capitale, pubblicato postumo. Per un certo periodo, verso la metà del secolo scorso, sembrò che le cose potessero andare proprio così.
        La polverizzazione della proprietà apriva lo spazio all´autonomia del potere manageriale, che si poneva non come semplice esecutore della proprietà, ma come mediatore «politico» tra i gruppi più o meno coinvolti nell´impresa: azionisti, lavoratori, creditori, fornitori, clienti. L´obiettivo strategico dei manager non era la massimizzazione del profitto, ma lo sviluppo dell´impresa nel lungo periodo. L´impresa con la "I" maiuscola non si presentava più come un affare privato, ma come una istituzione sociale: e c´era chi osava affermare che essa era diventata, di fatto, una impresa pubblica: una istituzione socialmente responsabile Invece, le cose sono andate proprio in senso contrario.
        La contrazione dei profitti, l´aumento del potere e della pressione sindacale, l´invadenza di un eccessivo statalismo, l´impennata dei prezzi del petrolio, hanno scatenato negli anni Settanta una vera e propria controffensiva capitalistica, che ha avuto il suo punto forte nella liberalizzazione dei movimenti di capitale, promossa da Reagan e dalla Thatcher, e il suo credo politico ideologico nella riscossa del pensiero liberista.
        Tutto ciò si è tradotto in una nuova «mutazione» del governo dell´Impresa. Nel suo libro sull´Impresa irresponsabile (Einaudi) Luciano Gallino mette sotto osservazione, in una analisi rigorosa, quel particolare momento storico della trasformazione capitalistica che è segnata dal passaggio da un certo tipo di impresa, manageriale e produttivistica, a un´altra, manageriale e proprietaria.
        Mi limito a evocare i tratti salienti di questa svolta.
        Primo: il ritorno dei proprietari azionisti. Beninteso, di quelli che detengono quote sostanziali della proprietà: un ritorno caratterizzato da una nuova alleanza di governo tra grandi azionisti e grandi manager: un patto di acciaio? Piuttosto d´oro, se si guarda alle rendite indecentemente «sterminate» di questi ultimi.
        Secondo. Il radicale mutamento degli obiettivi dell´Impresa: che si riassumono non nella massimizzazione dei profitti, dalla quale discenda il valore azionario dell´Impresa; ma, all´opposto, dalla massimizzazione del valore delle azioni, che prescinde dalla sua performance. «Ogni altra idea», afferma perentoriamente Milton Friedman, «è una dottrina profondamente sovversiva». Poiché quel valore può essere efficacemente manipolato, in modi non sempre, ma spesso, fraudolenti.
        Terzo. La natura speculativa dell´Impresa, il cui successo dipende da una cieca fiducia nell´onestà e nella competenza dei dirigenti oltre che nella brevità dell´orizzonte. Le conseguenze sociali e morali di questa mutazione, che, mentre assicura la minimizzazione dei costi dell´Impresa, li scarica sulla società: costi ambientali, sociali, morali. Questi ultimi, soprattutto, rovinosi.
        L´impresa socialmente irresponsabile – è la tesi centrale di Gallino – genera un capitalismo insostenibile. E pone il problema di ricondurre questa istituzione nell´ambito di un nuovo compromesso tra capitalismo e democrazia.
        È possibile reintegrare la responsabilità sociale nel governo dell´impresa? A parole, certamente. Mai tanto spazio è stato dato ai discorsi sull´etica sociale della grande impresa. Gallino apprezza le intenzioni e concorda nel merito di alcune di quelle proposte, ma resta convinto che dalle prediche virtuose si cava solo un´imponente dose di ipocrisia. A meno che da quelle nascano, sul terreno politico, regole precise. E queste non riguardano soltanto l´impresa, ma il contesto macroeconomico e politico nel quale essa opera. Esse pongono, in altri termini, il problema di una riforma del capitalismo: il passaggio da una ideologia della crescita senza termini alla economia dell´equilibrio entro un nuovo progetto di società.
        Le regole di un nuovo compromesso storico tra capitalismo e democrazia comportano una iniziativa politica non subalterna e «deferente» come quella oggi caratteristica della sinistra. Solo da forze che facciano valere scelte e obiettivi non capitalistici può nascere una nuova sostenibile sintesi che salvi il capitalismo. La sinistra fu capace, in due fasi critiche della storia dell´Occidente moderno, di generare quella sintesi: nel riformismo che salvò il capitalismo nel tardo diciannovesimo secolo e in quello dello Stato sociale del secolo scorso. «Il capitalismo ha bisogno di antagonisti culturali e politici». Se la sinistra sarà incapace di dare questa risposta storica all´attuale e devastante crisi di sostenibilità, ecologica e sociale, temo che non si realizzi quello stupido slogan che la sua ala più radicale raffigurò nella «fuoruscita dal capitalismo», ma un altro molto più realistico e minaccioso, di una «fuoruscita dalla democrazia».

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