"Commenti&Analisi" Tante figure non fanno flessibilità (F.Rotondi)
 Lunedí 10 Novembre 2003
NORME E TRIBUTI Dibattito
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Tante figure non fanno flessibilità Ci sono due anni di tempo per indirizzare il mercato
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FRANCESCO ROTONDI Avvocato
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Ritengo che una corretta analisi e, quindi, interpretazione della portata della riforma Biagi debba partire dalla Relazione di accompagnamento. In essa si rinvengono le ragioni del provvedimento legislativo e - a ben guardare - ciò che è stato rubricato alla voce «I vantaggi della riforma sotto il profilo della finanza pubblica». Se «il decreto nel suo complesso realizza significative economie e determina maggiori entrate contributive», pare oltremodo evidente che vi debbano essere soggetti (le imprese) che dovrebbero assolvere questo delicato e importante compito: sostenere il costo. Letta così, assieme ad altre importanti dichiarazioni di principio e conseguenti norme, in realtà si dovrebbe pensare che si è tentato di "normare" qualsiasi tipo di "attività umana" al fine di renderla il più possibile rispondente ai due requisiti: 1) «non porre problemi di copertura per maggiori oneri»; 2) ottenere «maggiori entrate contributive». A questo punto, salutare la novità legislativa come la risposta alle domande imprenditoriali volte a ottenere maggiore flessibilità per conseguire maggiore competitività sul mercato anche al fine di arginare l'emigrazione delle attività produttive verso mercati diversi non pare completamente corretto. Al contrario, viene da sottolineare un tratto singolare dell'intero impianto normativo e una non trascurabile caratteristica che permea l'intera Relazione di accompagnamento. Alludo alle parti che trattano di alcune attuali fattispecie contrattuali che - si afferma nella Relazione - erano utilizzate al mero scopo di eludere contribuzione e tassazione; ci si riferisce, ovviamente, alle co.co.co., al l'associazione in partecipazione, ad alcune anomalie del part-time e del contratto a termine. Preme rilevare che il "problema" delle vecchie co.co.co. forse stava nelle modalità di accertamento della sussistenza dei loro requisiti di legittimità; cambiare la definizione o introdurre nuovi "requisiti" potrebbe (come mi sembra) non risolvere il problema, ammesso che questo sia il reale e cruciale tema di dissertazione. L'aumento delle tipologie contrattuali - peraltro spesso mutuate dall'elaborazione giurisprudenziale o da illuminati accordi sociali (come, per esempio, nei casi Zanussi e Telecom) - non ha sinora soddisfatto le esigenze imprenditoriali delle quali si diceva poc'anzi. Se a tutto ciò si aggiunge che per «due anni ci sarà la possibilità di emanare decreti correttivi» e che di «fondamentale importanza saranno anche le circolari interpretative», nessun dubbio avrei a rappresentarmi le esigenze e a suggerire di attendere un tempo ragionevole prima di determinare la direzione che il nostro mercato del lavoro ha iniziato a intraprendere. Al di là della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (staff leasing), non pare possa ritenersi adeguatamente trattato il tema della flessibilità, almeno in uscita, tema - questo sì - caro soprattutto a una realtà che ha visto interi gruppi imprenditoriali soccombere sotto gli oneri ingestibili delle riorganizzazioni e riassetti produttivi.
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