"Commenti&Analisi" Se a vincere è il buon senso- A.Orili

Lunedí 23 Giugno 2003
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Se a vincere è il buon senso |
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DI ALBERTO ORIOLI
Un misto di orgoglio e preoccupazione colora il lavoro italiano. E la stagione di riforme su questo tema delicatissimo non potrà non tenerne conto. L’analisi del sondaggio Hdc mostra alcuni segnali importanti: il grado di soddisfazione del lavoro indica che è superata la retorica dell’alienazione, dunque anche certa ostinazione nel voler trattare il tema con argomentazioni ottocentesche. Non sembra emergere una vera questione salariale e ciò fa pensare a un ormai efficiente sistema di remunerazione del lavoro: il modello contrattuale del ’93 con la rivoluzione degli aumenti agganciati all’inflazione programmata ha colto nel segno. Semmai va potenziato — e anche in questo caso il sondaggio è indicativo —il sistema di incentivazione: carriera secondo il merito e retribuzione commisurata secondo produttività. Chi sceglie la mobilità, poi, è più motivato e, qualora ce ne fosse bisogno, conferma che questa è una delle forme più meritevoli di incentivazione. Non coglie appieno, la rilevazione, le inevitabili differenziazioni di percezione tra lavoratori subordinati "classici" e mondo delle collaborazioni. È uno snodo fondamentale, ora che i decreti attuativi della riforma Biagi puntano a una stabilizzazione delle tutele per le forme d'impiego "consulenziale" finora rimaste del tutto ai margini del diritto del lavoro. Non si può non considerare che l'aggancio allo status dell'impiego a tempo indeterminato potrà solo far aumentare la percezione di soddisfazione che già emerge nitida per la generalità del campione. Il sondaggio fa giustizia dell'approccio ideologico ai temi del lavoro: le scelte nelle risposte di chi viene intervistato segnalano un sistema di valutazioni fondato sul buon senso. Uno spunto che il decisore politico dovrebbe non trascurare proprio ora che sta per cimentarsi con l'altra faccia del mercato del lavoro, vale a dire lo Stato sociale. Razionalizzato il quadro delle forme di flessibilità in entrata con la legge Biagi, ora è diventato inevitabile preoccuparsi delle forme di uscita. Il mercato del lavoro è una grande vasca con rubinetti di diverso diametro che alimentano il flusso, ma con poche bocche di scarico che consentano all'acqua di non tracimare. Fuor di metafora: occorre riequilibrare il sistema di entrate e uscite nel mondo del lavoro, altrimenti prospera il sommerso. La sperimentazione sul nuovo articolo 18 dovrebbe contribuire a questo scopo. Ma è chiaro che diventa inevitabile anche una diversa gestione del sistema pensionistico: non ha senso, per esempio, consentire uscite "formali" anticipate dal mercato del lavoro quando queste alimentano solo un mercato parallelo di lavoro informale, che impedisce nuovi ingressi regolari e squilibra il sistema di finanziamento dello Stato sociale. Non è poi gestibile un sistema previdenziale che ha tagliato in due il mondo del lavoro, creando le basi per un vero e proprio tradimento della solidarietà tra generazioni (con i giovani che versano contributi o per pensioni sotto la sussistenza o solo per garantire gli assegni dei pensionandi di medio periodo). Il tema va affrontato e le nuove normative sui cosiddetti co.co.co. (i collaboratori coordinati e continuativi) hanno aperto la strada: l'eventuale innalzamento dei contribuiti a carico di queste forme di lavoro (dal 12 al 19%) dimostra che occorre trovare nuovi equilibri tra le forme di finanziamento del welfare italiano e l'entità concreta degli assegni previdenziali futuri.
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