"Commenti&Analisi" Non bastano gli incentivi - di L.Dini

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Sabato 01 Febbraio 2003 |
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Non bastano gli incentivi |
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DI LAMBERTO DINI* *Vicepresidente del Senato
I Paesi europei si stanno ponendo il problema di adeguare il loro sistema pensionistico ai bisogni di una società che cambia, in particolare alle sfide poste dall'invecchiamento demografico e dalle mutate condizioni del mercato del lavoro. La Commissione europea ha sottolineato in un recente documento la necessità di riforme per «garantire pensioni adeguate e sostenibili». Le modifiche strutturali adottate con la legge 335 del 1995 hanno tra l'altro introdotto il metodo contributivo, hanno permesso di evitare una crisi imminente e di fondare il nostro sistema su base solidale. Ma ciò non ci esime dall'interrogarci e con urgenza sulle prospettive future del nostro sistema, come ci chiede l'Europa e insistentemente anche il Fondo monetario internazionale e la Banca d'Italia. Il Governo ha finora dato indicazioni contraddittorie, oscillando fra propositi di interventismo e confuse dichiarazioni rinunciatarie. Il progetto di legge delega che giace da mesi in Parlamento è del tutto inadeguato, come ora riconosce anche il ministro del Lavoro. Non si tratta di rifare una riforma, ma di completare e accelerare le linee di riforma approvate nel 1995 e integrate nel 1997 dal Governo di Centro-sinistra. Su questo occorre che il Governo si esprima con proposte univoche, e che avvii un confronto serio, cioè una concertazione, con le parti sociali. Gli obiettivi da perseguire sono quelli individuati in sede europea e fissati dalla Commissione. In primo luogo occorre garantire l'adeguatezza delle pensioni, al fine di prevenire l'esclusione sociale degli anziani e permettere ai pensionati di conservare sostanzialmente il loro tenore di vita. Questo obiettivo richiede, tra l'altro, che si risponda alle esigenze dei nuovi lavori, intervenendo per ridurre la precarietà dell'occupazione e per evitare che essa pregiudichi il diritto a una pensione adeguata. In questa direzione si muove il progetto di Carta dei diritti già presentato dall'Ulivo. Occorre anche interrogarsi e senza indugio su un obiettivo di più lungo periodo: cioè sulla necessità di garantire un livello pensionistico minimo di base comune a tutti i cittadini, finanziato non più con contributi derivati dai contratti di lavoro, ma con la fiscalità generale. Al rafforzamento della adeguatezza delle pensioni di tutti i cittadini va congiunto il superamento definitivo dei regimi pensionistici speciali. D'altra parte va sviluppata ulteriormente la previdenza complementare, accelerando anche qui l'opera avviata negli anni scorsi. In particolare occorre rendere più conveniente il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. Il secondo obiettivo è garantire la sostenibilità dei sistemi pensionistici. Senza alzare la base occupazionale il sistema pensionistico non è in grado di reggere. Purtroppo la crescita economica avviata negli scorsi anni si sta ora interrompendo per una congiuntura internazionale sfavorevole ma anche per l'incapacità del Governo di promuoverla e di incentivarla. La sostenibilità del sistema pensionistico richiede in ogni caso che si estenda la vita lavorativa, per adeguarla all'allungamento della aspettativa di vita. Una prima strada è quella degli incentivi. Può trattarsi di incentivi retributivi, per chi lavora oltre i limiti minimi attuali (come sembra proporre il Governo), oppure si può premiare chi continua a lavorare con un aumento della pensione futura, sopravalutando il rendimento degli anni di lavoro svolto dopo i 35-37 anni; oppure ancora, incentivare in prospettiva chi pospone il pensionamento con del tempo libero durante la vita lavorativa (ad esempio un anno di sabbatico contro due anni di proroga del pensionamento). L'efficacia di questi incentivi è tutta da verificare. C'è chi li ritiene insufficienti, e probabilmente lo sono. Se fosse così occorrerebbe pensare a misure ulteriori: cioè appunto ad accelerare i meccanismi della riforma del 1995. Una ipotesi già profilata anche in sede sindacale dalla stessa Cgil, è di estendere a tutti il metodo contributivo, che nel 1995 fu applicato solo ai lavoratori con meno di 18 anni di anzianità contributiva. Sarebbe una misura giusta, correggerebbe una disparità di trattamento che pesa ingiustamente sui giovani, sdrammatizzerebbe la questione dell'età legale di pensionamento, perché col sistema contributivo si può scegliere l'età: chi va in pensione presto, avrà una pensione proporzionatamente inferiore. Perché queste proposte siano efficaci, occorrono anche misure che favoriscano una vecchiaia attiva: una formazione professionale personalizzata, forme di lavoro (anche part time) accessibili e rispondenti alle mutate esigenze della popolazione anziana. Si tratta di fare il contrario delle pratiche di "rottamazione" che vengono proposte per i cinquantenni a ogni crisi industriale. Più che di dare disincentivi si tratta di accelerare il meccanismo di calcolo previsto dalla riforma del 1995. La fascia di età fra i 57 e 63 anni su cui questa riforma ha impostato a regime il calcolo delle pensioni va adeguata al prolungamento continuo delle aspettative di vita: va cioè alzata progressivamente. Questi sono obiettivi di grande portata, ma che non si possono eludere e su cui occorre costruire il necessario consenso. Spetta al Governo prendere iniziative adeguate. Verrebbe meno al suo ruolo e alle sue responsabilità primarie di curare l'interesse del Paese se dovesse rinunciarci.
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