24.10.2003 Le pensioni che vogliamo di Piero Fassino
Milioni di lavoratrici e lavoratori di ogni categoria incrociano le braccia e scendono in piazza per rispondere alle proposte annunciate dal Governo sulle pensioni. Ma la giornata di lotta assume il carattere di una protesta più ampia contro una politica economica del Governo che ha condotto l'Italia ad una condizione di grave recessione produttiva. Ormai da tempo produzione e consumi ristagnano; le nostre esportazioni subiscono pericolose riduzioni; le imprese sono lasciate sole in mercati sempre più competitivi; la capacità di acquisto di salari e pensioni è erosa da una inflazione in aumento.
Di fronte a tutto ciò il Governo persevera nella politica sbagliata di questi anni. E per la terza volta Tremonti ci presenta una Finanziaria fatta di condoni, tagli alla spesa sociale, riduzione di risorse a disposizione degli Enti Locali e pressoché inesistenti politiche di investimento. Non ci sono risorse per la ricerca, né per la formazione e l'Università, né per la modernizzazione ambientale e infrastrutturale.
E si persevera in una politica fiscale dissennata il cui unico risultato è paradossale: le tasse non sono diminuite né per le famiglie, né per le imprese, ma diminuisce l'introito fiscale globale. E questo perché l'aspettativa di continui condoni determina una tendenza all'«autoriduzione fiscale», che spiega perché l'erario abbia introiettato nell'ultimo anno 35.000 miliardi di vecchie lire in meno!
E ancora una volta tutto viene scaricato sulle pensioni, dalla cui “riforma” dovrebbe scaturire la soluzione di ogni problema di sviluppo del paese.
Peraltro non può non essere sottolineato con sconcerto il fatto che dopo settimane di annunci, a tutt'oggi, nessuna proposta è stata formalmente depositata in Parlamento dal Governo. E allora proviamo a parlare di pensioni in modo più serio di quanto non faccia il Governo.
Intanto, è bene ricordare che abbiamo alle spalle dieci anni di riforme del sistema previdenziale. In particolare una riforma Dini che già ha prodotto significativi risultati: si è introdotto il calcolo contributivo per coloro che sono entrati per la prima volta al lavoro a partire dall'1/1/96; si è introdotto, su questa base, il criterio dell'uscita flessibile dal lavoro (57-65 anni), con conseguente livello di pensione; si sono superate le pensioni di anzianità che consentivano di andare in pensione con 35 anni di contributi indipendentemente dall'età anagrafica; si è equiparata la situazione tra dipendenti pubblici e privati (a partire dal 2004 tutti i lavoratori dipendenti avranno diritto alla pensione con 35 anni di contributi e 57 anni di età), si sono superati tutti i Fondi speciali sostitutivi del trattamento dell'Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO); si sono ridotti in maniera consistente i contributi complessivi a carico delle aziende, e i contributi previsti per le pensioni sono oggi pari al 32,7%; con il governo D'Alema si sono ulteriormente ridotti i contributi dell'1,82% (fiscalizzazione degli oneri di maternità, Enaoli, ecc.). Provvedimenti che hanno consentito un risparmio, fin qui, di circa 200.000 miliardi di vecchie lire.
Tutto ciò spiega perché le previsioni dell'Unione Europea - decennio per decennio da qui al 2050 - dicano che l'Italia sarà il paese con il minore incremento della spesa previdenziale. Ad esempio nel 2030 l'Italia registrerà un + 1.9% contro un + 4% medio in Francia, Germania, Spagna, Svezia, che proprio per questo stanno accelerando le misure di riforma.
D'altra parte il fatto che il governo proponga misure la cui validità decorrerà soltanto dal 2008, è la più evidente dimostrazione dell'efficacia delle riforme fin qui fatte: la casa non sta bruciando.
Non solo, ma nella riforma Dini si è indicata la percentuale massima di spesa previdenziale rispetto al PIL, per mantenere inalterata quella percentuale e introdurre via via eventuali correttivi necessari.
D'altra parte proprio il fatto che la riforma Dini prevedesse una "verifica" nel 2005 per valutare l'andamento della riforma - e se e come assumere eventuali altri provvedimenti - dimostra quanto lo stesso movimento sindacale abbia affrontato il tema delle pensioni con maturità e responsabilità.
Ricordare tutto ciò non significa affatto sostenere che allora il sistema previdenziale debba essere considerato immutabile.
Noi siamo sempre stati consapevoli che con la riforma Dini si sono compiuti passi significativi di un cammino che va proseguito, con una costante verifica sulla dinamica della spesa previdenziale, in relazione alle tendenze demografiche e del mercato del lavoro, e in una logica di concertazione con le parti sociali.
Il punto è che le proposte annunciate dal Governo non vanno in direzione né della equità, né di un sistema previdenziale più moderno. Anzi, se davvero si realizzassero le intenzioni di Tremonti il sistema previdenziale sarebbe segnato da non poche ingiustizie: sarebbero gravemente penalizzati dalla decontribuzione i giovani che entrano adesso nel mercato del lavoro; si produrrebbe una irragionevole disparità di trattamento tra chi, con 35 anni di contributi, andrà in pensione il 31 dicembre 2007 e chi - ventiquattr'ore dopo! - dovrà avere 40 anni di contributi; si aggraverebbe il disagio dei lavoratori di "prestazioni usuranti"; e si potrebbe continuare.
Non solo, ma non vi è alcuna garanzia che gli eventuali risparmi vadano a beneficio di altre finalità di welfare - gli ammortizzatori sociali; i fondi per le persone non autosufficienti; la formazione permanente - essenziali per un moderno stato sociale.
E allora invece di lanciare continui messaggi allarmisti e punitivi - che peraltro hanno l'effetto controproducente di spingere ad un "si salvi che può" verso la pensione - chiediamo al governo di riprendere un confronto con le parti sociali che prosegua nel solco tracciato dalla riforma Dini.
Lungo quella strada si attivino subito le misure necessarie al completamento della attuale riforma previdenziale: armonizzazione graduale dei contributi tra i lavoratori dipendenti e autonomi; ricongiungimento di un unico percorso previdenziale dei contributi dei lavoratori flessibili; incentivi per chi volontariamente vuole restare in attività anche oltre l'età pensionabile, senza che questo si traduca in una penalizzazione della pensione. E si sblocchi l'uso del Tfr - attraverso il criterio del silenzio-assenso - per dare finalmente corso alla previdenza integrativa, condizione essenziale per passare senza rischi al contributivo. Ecco, queste sono alcune concrete ipotesi di lavoro che mettiamo a disposizione di un confronto tra le parti sociali e con le forze politiche.
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