2/5/2005 ore: 12:18
"Commenti&Analisi" «La concorrenza è di sinistra e crea lavoro» (F.Locatelli)
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M E R C A T O & T A B Ù «La concorrenza è di sinistra e crea lavoro» Di Franco Locatelli È paradossale che, dopo la lezione di Ernesto Rossi e degli amici del Mondo contro i monopoli di mezzo secolo fa e dopo le battaglie per una moderna politica antitrust condotte in anni più recenti da personalità come Giuliano Amato e Guido Rossi, anche nello schieramento progressista ci siano ancora vaste zone di indifferenza o addirittura di diffidenza verso la concorrenza e suoi effetti. Chissà quali alchimie politiche ci sono dietro il recente e secco altolà di Fausto Bertinotti all'apprezzamento di Romano Prodi per l'ex commissario europeo Mario Monti, ma quella sortita è solo l'ultima testimonianza di come spesso la concorrenza non venga affatto percepita come un fattore di progresso. Costi e Messori, insieme a un pool di studiosi che comprende anche Lapo Berti e Andrea Pezzoli, Emilio Barucci e Francesco Vella, ribaltano queste antiquate convinzioni e fanno della liberalizzazione e della ri regolamentazione una bandiera di una possibile nuova strategia riformatrice in Italia. Curioso sarà vedere che effetti avranno queste idee sul pensatoio legato alla Cgil da cui provengono. «L'apertura alla concorrenza dei mercati protetti di molti servizi — scrivono Costi e Messori — può determinare, nel breve periodo, costi sociali non trascurabili, specie in termini di occupazione, ma si tratta di costi inferiori ai vantaggi che si otterrebbero, nel medio periodo, per gli aggregati sociali a basso reddito e per le imprese essenziali allo sviluppo economico del Paese. L'abbassamento delle rendite in molti servizi alle imprese e alle famiglie avrebbe, infatti, l'esito di ridurre i prezzi dei servizi erogati, oggi fra i più elevati in Europa, e di permettere così sia forme di redistribuzione del reddito a favore delle fasce meno abbienti sia un abbassamento dei costi per le imprese utilizzatrici che evidenze empiriche mostrano essere molto significativo per la competitività delle imprese stesse ». Tutto ciò — continua lo studio — « non elimina la necessità di una politica che limiti i costi sociali indotti dalla concorrenza specie in termini occupazionali. Del resto, in assenza di una tale politica, la percezione dei benefici sociali sarebbe cancellata dalle resistenze di natura corporativa e ideologica, con il rischio di trasformare la lotta alle rendite nel ricorso a meccanismi concorrenziali " finti" purchè compatibili con gli interessi più disparati. Siamo talmente convinti dei guadagni di efficienza e di equità, derivanti da appropriati processi di liberalizzazione e di ri regolamentazione dei mercati italiani dei servizi, da proporre che politiche attive del lavoro, atte ad assorbirne i costi sociali di breve termine, siano soprattutto finanziate mediante la fiscalità generale ». Analisi e considerazioni interessanti, ma siamo proprio sicuri che l'apertura alla concorrenza determini sempre, a breve, una riduzione di posti anche se ampiamente compensata nel medio periodo dall'allargamento dei mercati in questione? Qualche tempo fa l'Ocse ha stimato che se la regolazione italiana dei mercati dei beni si allineasse a quella dei Paesi più aperti alla concorrenza il tasso di occupazione salirebbe di tre punti percentuali fino a dimezzare l'attuale divario tra il nostro tasso di occupazione e quello medio dell'Ocse. In effetti, come aveva aveva già segnalato il presidente Amato nella relazione annuale dell'Antitrust ' 97, il rapporto concorrenza occupazione resta un aspetto tanto cruciale quanto inesplorato. |