"Commenti&Analisi" La competitività comincia dall’orario (T.Boeri)
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 Giovedì 24 febbraio 2005
IL SINDACATO E IL CASO FRANCESE
LA COMPETITIVITA’ COMINCIA DALL’ORARIO
di Tito Boeri
LA Francia abbandona le 35 ore per cercare di ridurre il proprio tasso di disoccupazione a due cifre e in Germania si siglano accordi aziendali in cui si allunga l'orario di lavoro per non spostare produzioni altrove. Archiviato il «lavorare meno, lavorare tutti», dobbiamo ora rassegnarci a un assai meno accattivante «lavorare di più, per lavorare tutti»? Non è detto. Specie in Italia, dove ci sono forti asimmetrie negli orari di lavoro e dove molti non lavorano del tutto, si possono creare più lavori senza necessariamente far lavorare di più chi un lavoro ce l'ha già. Se sapremo meglio coordinare le esigenze di orario flessibile di lavoratori e imprese diverse e riconciliare lavoro e responsabilità famigliari, potremo anche aumentare il benessere di chi lavora a parità di salario. Bene che il sindacato si attrezzi a questo compito. Ha un ruolo sociale importante da giocare nel migliorare il modo con cui riusciamo a distribuire il nostro tempo fra lavoro, famiglia e tempo libero.
La Francia ha voltato pagina perché una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro distrugge molti posti di lavoro. Se ne sono resi conto non appena i vincoli di bilancio hanno obbligato il governo a rimuovere gli incentivi all'impiego che avevano attutito gli effetti negativi sull'occupazione delle 35 heures. Prima di introdurle i politici d'Oltralpe avrebbero fatto bene a ricordarsi cosa era accaduto nel 1982, quando Mitterrand aveva ridotto d'imperio l'orario di lavoro per tutti da 40 a 39 ore: le imprese avevano reagito tagliando i posti di lavoro.
La lezione francese funziona in negativo, come errore da non ripetere sia in un senso, che nell'altro. Come è sbagliato ridurre per tutti gli orari, è altrettanto sbagliato aumentare dall'alto gli orari di lavoro per tutti. Perché in Italia ci sia tanto lavoro pro-capite quanto negli Stati Uniti (dunque, a parità di produttività, lo stesso reddito pro capite) basta far lavorare chi oggi, contro la sua volontà, non ha un impiego e rendere conveniente il lavoro a chi oggi resta a casa ad occuparsi di tutto anziché comprare questi servizi sul mercato. È un problema di istituzioni (pensioni, tasse, mancanza di servizi per l'infanzia, abitudini sociali) che escludono molti dal mondo del lavoro, non di ferie e di orari di legge. Bene incentivare a lavorare di più, non obbligare perché obbligando si abbassa la produttività riducendo di molto i vantaggi di avere più lavoro e facendone sentire a dismisura i costi.
In Italia abbiamo anche forti asimmetrie nella distribuzione degli orari di lavoro fra chi lavora a tempo pieno. I lavoratori autonomi, ad esempio, lavorano 47-48 ore alla settimana, molti lavoratori atipici più di 50 ore (chi diceva che gli italiani sono pigri?), contro le 35 ore di molti lavoratori dipendenti. Se ci fosse una distribuzione di orari meno asimmetrica, anche il fatto di avere un coniuge che lavora non ci impedirebbe di avere tempo libero da passare insieme. Bisogna sincronizzarsi per aumentare i vantaggi sia del tempo libero che del lavoro. Il fine settimana festivo esiste proprio per questo.
Ma come fare a sincronizzare maggiormente i tempi di lavoro e fuori dal lavoro senza imporli dall'alto? Lo può fare in parte il governo incoraggiando una distribuzione più uniforme di carichi famigliari per moglie e marito, come in Olanda. Ma lo può fare soprattutto la contrattazione decentrata coordinando richieste quanto a orari e ferie di lavoratori diversi. Pezzotta in questi giorni si sta chiedendo quali nuovi compiti assegnare a un sindacato sempre meno rilevante. Bene, eccone uno: accetti la sfida dei «più lavori con tempi maggiormente coordinati».
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