"Commenti&Analisi" L´occupazione usa e getta e il declino dell´economia - L.Gallino

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L´occupazione usa e getta e il declino dell´economia
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) LUCIANO GALLINO IN ITALIA esistono attualmente una trentina di tipi di contratto di lavoro atipici. Il decreto di attuazione della legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro (la n. 30 del 14/2/2003) ne inventa qualcuno di interamente nuovo; ne complica altri in rilevante misura; infine applica nuova vernice ad alcuni contratti senza che la loro sostanza venga modificata. I risultati prevedibili saranno, per le persone, una maggiore offerta di lavoro tipo usa e getta. Mentre le imprese, gli esperti, gli enti locali, e lo stesso governo, si troveranno dinanzi a un mercato del lavoro sempre più incomprensibile e ingovernabile. Tra i nuovi tipi di contratto previsti dal decreto quello che più si avvicina al prototipo del lavoro usa e getta è sicuramente il lavoro a chiamata.
In base ad esso un lavoratore garantisce nei confronti del datore di lavoro la propria disponibilità allo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo e intermittente. Se si impegna a rispondere prontamente ad ogni e qualsiasi chiamata, riceverà una "congrua indennità" (e sarà interessante seguire le interpretazioni del significato di "congrua" ). Se non ha voglia di rispondere sempre e comunque alla chiamata, niente indennità. In Francia questo tipo di contratto esiste da tempo, e viene chiamato "lavoro a squillo". Che ormai è qualcosa di più di una sgradevole metafora: con gli Sms, in effetti, sarà uno squillo ad avvertire il lavoratore che entro tot ore o tot giorni avrà da lavorare per un certo periodo. Agevolato e complicato al di là di ogni misura è soprattutto il lavoro a tempo parziale. Ad esso sono estese "forme flessibili ed elastiche" di prestazione, anche quando già si tratta di contratti a tempo determinato, e il part-time sia orizzontale (quando il soggetto lavora, ad esempio, otto ore al giorno per tre giorni) o verticale (per dire, quattro ore tutti i giorni). Con queste complicazioni viene presumibilmente battuto il primato europeo del numero di elementi atipici contenuti all´interno di un singolo contratto di lavoro. Non molto più di una riverniciatura pare infine essere la trasformazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa in contratti di lavoro a progetto, i quali dovrebbero assicurare che si tratta realmente di prestazioni autonomamente prestate. Infatti chiunque abbia scorso un contratto di collaborazione coordinata redatto a norma di legge, ha potuto constatare che in esso è sempre chiaramente definito il tipo di opera da realizzare; si precisa che il titolare del contratto non ha alcun vincolo di orario; e si stabilisce - altrimenti che contratto sarebbe? - l´ammontare del compenso. Chiamare ora tutto ciò "lavoro a progetto" ingentilisce opportunamente la denominazione del contratto, ma dove stia la straordinaria innovazione vantata dal governo non è chiaro. Una simile proliferazione di contratti atipici fa compiere un ulteriore passo verso un mercato del lavoro sul quale la merce lavoro viene scambiata in modo quanto più possibile analogo a qualsiasi altra merce o materia prima, mentre le persone, i soggetti del lavoro scompaiono vieppiù nell´ombra, ciascuna in attesa del prossimo Sms da cui saprà se ha, o non ha più, una occupazione. Al tempo stesso, come si diceva, essa è destinata a rendere il mercato del lavoro sempre meno comprensibile e gestibile, agli occhi degli esperti, delle imprese e dello stesso governo. Vi sono oggi imprese che hanno a che fare, sotto lo stesso tetto, con lavoratori inquadrati da una dozzina di contratti atipici differenti. Ciò da un lato è fonte di continui conflitti d´ogni genere tra le persone: non c´è nulla di più irritante, in una qualsiasi organizzazione, che vedere o sapere che il mio vicino fa lo stesso lavoro che faccio io, ma guadagna di più, o fa un orario migliore. Per un altro verso, la proliferazione dei contratti atipici diventa un cospicuo fattore di inefficienza organizzativa perché più nessuno capisce chi fa che cosa, e chi è responsabile di questo o quel segmento del processo produttivo. D´altra parte che il mercato del lavoro stia diventando incomprensibile lo ha dimostrato lo stesso presidente del Consiglio, quando ha affermato che sono ben 750 mila i nuovi posti di lavoro creati da quando il suo governo è in carica. Per intanto non si vede da dove venga la cifra, poiché i soli dati su cui si può contare per stimare l´occupazione sono quelli delle rilevazioni trimestrali dell´Istat, ed essi sono inferiori alla cifra indicata. Ma anche se si prende la cifra per buona, ci si trova comunque dinanzi ad un singolare paradosso. L´aumento vantato corrisponde infatti ad un aumento del 3,5 per cento degli occupati in due anni, laddove nello stesso periodo il Pil è aumentato di meno dell´1 per cento. Un simile paradosso ha due sole spiegazioni. La prima è che i 750 mila nuovi occupati siano tutti membri di orchestre da camera, o parrucchieri, professioni la cui produttività è notoriamente costante nel tempo. Una spiegazione un po´ più plausibile è che gli occupati siano effettivamente aumentati, mentre le ore lavorate da ciascuno, in media sono diminuite. È un effetto tipico della diffusione dei lavori atipici. Lo stesso volume di lavoro viene distribuito tra un maggior numero di persone. Ciascuna delle quali disporrà pure, di conseguenza d´un minor reddito. Chi l´avrebbe mai detto: guardando dietro ai lavori atipici, si possono cominciare a scorgere alcune cause della contrazione dei consumi, e del declino complessivo dell´economia italiana.
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