18 Giugno 2003
IL DIBATTITO SULLA «RIFORMA BIAGI» E I PROVVEDIMENTI ATTUATIVI PRESENTATI DAL GOVERNO DIECI GIORNI FA
Il vero e il falso delle polemiche sul lavoro di Michele Tiraboschi
COME già accaduto per il Libro Bianco e per il disegno di legge delega sul mercato del lavoro, anche l'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, lo scorso 6 giugno, dello schema di decreto legislativo di attuazione della Legge Biagi ha subito scatenato una vera e propria guerra di religione tra i sostenitori della modernizzazione del mercato del lavoro e una variegata schiera di oppositori che, prima ancora di avere avuto modo di conoscere il contenuto del decreto, non hanno esitato a parlare di «flessibilità da pezzenti» e di «occupazione usa e getta». Non è mancato invero anche chi ha cercato di minimizzare il senso e la portata pratica della riforma sul presupposto, in sé incontestabile, che, almeno alcuni dei profili più qualificanti, si tratta di una evoluzione di quanto già previsto nel Pacchetto Treu del 1997. E non è neppure mancato persino chi, con un raffinato gusto del paradosso, ha parlato, in relazione alla disciplina dei co.co.co. di nuove rigidità che ben si potrebbero collocare sulla linea delle proposte da tempo avanzate dalla Cgil. Ma si è trattato di posizioni che, tutto sommato, sono rimaste isolate. Prevalgono, nel dibattito politico e sindacale di questi giorni, toni ancora alti e minacciosi, che alternano facili trionfalismi ad un cieco catastrofismo; a conferma della percezione - diffusa tra la maggioranza degli osservatori - di una riforma che, bene o male, a seconda dei diversi punti di vista, segnerà in modo indelebile gli sviluppi del mercato del lavoro nei prossimi decenni. Quel che è certo è che l'opinione pubblica è lasciata in balia di commenti schizofrenici e superficiali, talvolta anche malevoli, che paiono davvero ben lontani dal centrare - e spiegare ai lettori - il significato e l'impatto reale della riforma Biagi. Prevalgono ancora - anche tra gli opinion makers più accreditati - giudizi a ruota libera, attenti più alla propaganda politica e ai comunicati stampa che al merito delle proposte contenute nello schema di decreto legislativo. Non sarebbe altrimenti possibile parlare, in relazione al medesimo testo di legge, di ben 44 forme di flessibilità (e ancora di più con la certificazione dei contratti) dopo questa riforma che alimenteranno, sotto mentite spoglie, altri co.co.co. e associati in partecipazione e, al tempo stesso, di rigidità estreme che allargheranno, proprio in relazione agli stessi co.co.co. e associati in partecipazione, l'area di applicazione integrale del diritto del lavoro del 15 per cento circa, con un aumento del costo orario complessivo superiore al 30 per cento. Queste estremizzazioni paiono davvero fuori luogo e dimenticano di iniziare il ragionamento a partire dalle reali condizioni del nostro mercato del lavoro: un mercato del lavoro che, ci dicono le autorità comunitarie e ci confermano le rilevazioni empiriche, è sicuramente il peggiore d'Europa. Nessuno ricorda infatti che il nostro mercato del lavoro necessita, in primo luogo, di un processo di emersione e di ristrutturazione, e in questo senso la diversificazione delle tipologie contrattuali prospettata nella riforma Biagi può avviare una prima fase di intervento sul mercato del lavoro, volta alla regolarizzazione, strutturazione ed emersione del lavoro nero e irregolare, che potrebbe poi forse consentire, più agevolmente, di delineare quello Statuto di tutti i lavori di cui molti oggi parlano quando richiedono un intervento di rimodulazione delle tutele. Le flessibilità nel nostro Paese non sono certo 38 o 44, ma davvero molte di più. Inseguendo quei commentatori che amano il gusto del paradosso si potrebbe anzi sostenere che le flessibilità oggi sono oltre i 5 milioni, tante sono le posizioni di lavoro irregolare o sommerso finalizzate alla evasione contributiva e alla elusione dell'apparato protettivo del diritto del lavoro. E sono oltre 5 milioni perché, in questi casi, ogni singolo rapporto di lavoro è orientato alla massima flessibilità e alla più completa deregolamentazione. Sicuramente decisiva, in questa prospettiva, è la regolazione delle collaborazioni coordinate e continuative contenuta nello schema di decreto legislativo: una variegata tipologia di rapporti di lavoro atipici e di difficile classificazione (si parla di due milioni e mezzo di collaboratori) verrà chiaramente circoscritta e ricondotta a un unico modulo negoziale, quello del lavoro a progetto. Le finte collaborazioni, e cioè quelle forme di flessibilità impropria che alimentano una concorrenza sleale tra le imprese e lo sfruttamento del lavoro, verranno invece ricondotte alla loro sede naturale, e cioè al lavoro dipendente. Operazione questa che già oggi sarebbe possibile, ma solo attraverso una imponente campagna repressiva e un esasperato ricorso alla giustizia del lavoro. Non c'è dunque nessuna moltiplicazione di figure contrattuali, ma semmai una semplificazione e riconduzione alla realtà dei rapporti di quelle che oggi sono forme di flessibilità cattiva. Chi svolge collaborazioni genuinamente autonome non avrà in ogni caso nulla da temere dalla nuova regolamentazione del lavoro a progetto. Lo schema di decreto colpisce gli abusi e le degenerazioni del sistema delle collaborazioni coordinate e continuative, non certo le forme genuine di lavoro autonomo. Il basso profilo del dibattito sulla riforma Biagi, caratterizzato da palesi mistificazioni e da una vera e propria campagna di disinformazione, conferma in ogni caso come la modernizzazione del mercato del lavoro non dipenda esclusivamente dall'impegno progettuale dei tecnici e dalla innovazione normativa. Come scriveva lo stesso Marco Biagi, la vera riforma deve essere non normativa ma culturale, proprio a partire dallo spirito con cui si andranno a interpretare le norme del decreto. La riforma del mercato del lavoro è un processo particolarmente complesso e delicato che richiede da parte di tutti un atteggiamento positivo e costruttivo nei confronti dei cambiamenti, come da tempo ci viene richiesto dalle istituzioni comunitarie. Ciò che viene oggi richiesto, non solo agli operatori pratici e alle parti sociali, ma anche a chi alimenta una polemica mediatica che profetizza nuovi terremoti, con il dichiarato scopo di creare scandalo (v'è infatti chi ha scritto: oportet ut scandala eveniant), è di provare ad abbandonare una cultura costruita sul sospetto e sulla diffidenza. Molto lavoro resta dunque ancora da compiere soprattutto sul piano culturale, e anche su quello della corretta informazione di una opinione pubblica sempre più indifferente perché stordita e perplessa da una girandola di parole in libertà. E' anzi proprio quello culturale il fronte su cui verrà giocata la battaglia decisiva per avviare una reale riforma del nostro mercato del lavoro. Ed è qui che ci mancherà davvero molto il contributo di un uomo del dialogo e del confronto come Marco Biagi, che si è sempre battuto contro fanatismi e mistificazioni. Certo è che, con l'avvio del confronto con le parti sociali previsto proprio oggi, avremo modo di valutare se, almeno tra le parti sociali, prevarrà uno spirito costruttivo o se il muro contro muro che già si prospetta si concluderà con un nulla di fatto. I tempi della attuazione della delega sono tuttavia oramai chiaramente scanditi. Entro il 13 settembre 2003, data in cui scade la delega su apprendistato e contratto di inserimento (ex cfl), il testo dello schema di decreto legislativo dovrebbe diventare legge dello Stato. L'unico modo per incidere in senso sostanziale sui contenuti del decreto è certamente quello del dialogo e del confronto nel merito. L'antagonismo fine a se stesso, come ci dovrebbe avere insegnato lo scontro sul Libro Bianco, non porta mai a nulla e a rimetterci non sono certo i polemisti. Chi ci rimettere realmente sono solo i lavoratori e i disoccupati sulla cui testa passa tristemente polemica sterile e di basso profilo. |
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