 |
 domenica 19 dicembre 2004
DI FRONTE AI COMPITI NUOVI E SEMPRE PIÙ COMPLESSI, LA RICETTA DI GUIDO BAGLIONI Il sindacato nell’era delle diversità
Giuseppe Berta
FRA i tanti elementi di incertezza che si addensano, in questa fine d’anno, sull'economia e la società italiana, vi è ancora una volta il contesto sindacale. Quasi per un paradosso, mentre i confini ideologici si sono fatti più sfumati, la competizione fra le organizzazioni sindacali italiane è cresciuta e si è acutizzata. Non essendo maturata la prospettiva dell'unità sindacale, il conflitto fra le confederazioni che rappresentano i lavoratori è divenuto via via più aspro. La Cgil appare più divisa e lontana da Cisl e Uil anche rispetto a vent'anni fa, quando ancora la discussione fra i sindacati era dominata dal problema della revisione del meccanismo di contingenza nella struttura delle retribuzioni.
Il nuovo secolo si è aperto su uno scenario che registra una contrapposizione tutt'altro che sopita fra le rappresentanze del lavoro. Lo testimoniano i duri contrasti intercorsi all'epoca del Patto per l'Italia, ma soprattutto lo prova l'evoluzione contrattuale di quella che è stata un tempo la categoria di riferimento, i metalmeccanici. Le ultime due tornate per il rinnovo del contratto dell'industria metalmeccanica si sono concluse con accordi separati, che hanno visto la Fiom-Cgil attestarsi su posizioni di dura contestazione delle linee contrattuali perseguite dalla Federmeccanica insieme con la Fim-Cisl e la Uilm. Né le cose accennano a migliorare nella cornice della ricerca di quella normalizzazione delle relazioni industriali indicata da Luca di Montezemolo già all'indomani del suo avvento alla guida della Confindustria. I tentativi di avviare un cambiamento della struttura della contrattazione collettiva non hanno compiuto passi in avanti. Anzi sembra profilarsi, ancora una volta, la possibilità che la Fiom non si accordi con le altre due organizzazioni per presentare una piattaforma contrattuale comune. Ed è chiaro che la differenziazione delle piattaforme rivendicative costituisce una sorta di preambolo per una nuovo contratto separato. A livello delle singole imprese, le cose non sembrano andare molto meglio, come mostra il fatto che a Torino l'intesa per la Powertrain non è stata sottoscritta dalla Fiom. Le strade dell'azione sindacale paiono così destinate a divergere e ad allontanarsi, al di là delle dichiarazioni d'intenti unitarie che vengono ripetute, spesso nei modi indifferenti di un rito.
A comprendere e a interpretare il difficile presente del sindacato ci aiuta il libro appena pubblicato da uno fra gli studiosi più assidui nell'analisi delle relazioni industriali e dei loro soggetti, Guido Baglioni, che ha raccolto i suoi scritti recenti sotto il titolo Fare sindacato oggi (Edizioni Lavoro, pp. 294, e14). Baglioni è un osservatore-partecipante del sindacato da cinquant'anni a questa parte: rientra nella generazione di coloro che sono approdati allo studio della rappresentanza dei lavoratori da un'esperienza diretta. Al pari di Aris Accornero nell'ambito della Cgil, Baglioni non ha mai scisso il lavoro teorico nel sindacato (nel suo caso la Cisl) dalla partecipazione alla sua vita e alla sua dialettica interna. Col tempo, questo rapporto si è stemperato e reso più distaccato, perché meno coinvolto nell'attività vera e propria dell'organizzazione, ma senza mai venire meno alla volontà di offrire un contributo di conoscenza e di riflessione critica al sindacato. Ne è una verifica questa raccolta, che ruota attorno al problema dei compiti attuali del sindacato, sintetizzati da Baglioni nell'espressione, che pone come sottotitolo del volume, della «regolamentazione delle diversità».
Rappresentare e tutelare i lavoratori è oggi un mestiere per molti aspetti più complesso del passato. Ormai lontana l'era della produzione industriale di massa e delle grandi concentrazioni di fabbrica, che rendevano omogenei sia il lavoro sia i lavoratori, le difformità attuali del mondo del lavoro creano problemi di prospettiva alla rappresentanza sindacale. Essa, da un lato, deve aderire agli interessi concreti dei lavoratori e assicurarne una tutela efficace, mentre dall'altro deve raccogliere anche le loro aspirazioni più generali, collettive. Così, di fronte a questa contraddizione, il sindacato rischia di oscillare fra particolare e universale.
Diciamo subito che la scelta di Baglioni, in coerenza con la cultura storica della Cisl, va a favore di un'organizzazione sindacale che non esprima una tensione antagonistica verso l'impresa e, anzi, ne riconosca le compatibilità economiche, accettando di muoversi entro i suoi confini. Un'azione sindacale non antagonistica e compatibile si misura sulla frontiera della flessibilità, una dimensione così caratterizzante del lavoro e dell'impresa odierni che non può essere rifiutata a priori.
Ciò non esclude affatto che il sindacato debba abdicare definitivamente all'arena politica e alla rappresentanza di interessi generali, spesso definiti sul terreno di valori come la solidarietà. Ma deve invece rinunciare all'equivoco di considerarsi soprattutto come un «movimento» sociale, in grado di unificare quasi in via di principio il mondo del lavoro. Baglioni afferma con chiarezza che «l'esperienza sindacale non ha un fondamento unico o nettamente prevalente». La contrattazione collettiva infatti non elimina le diversità presenti nel mercato del lavoro e nella società, semmai direttamente o indirettamente le stimola e le favorisce. Per questo, l'azione nella sfera politica non può essere la sola «direzione strategica» che si pone dinanzi al sindacato. Ne esiste un'altra, quella che Baglioni predilige e sottolinea, che affonda nel sostrato più importante delle relazioni industriali, «l'impresa, il territorio, il settore». Per rivitalizzare la rappresentanza e il mestiere specifico sindacale è su questo versante che bisogna ora puntare, mantenendo la radice delle confederazioni ben affondata nel vivo delle relazioni di lavoro.
|
 |