30/3/2005 ore: 11:14

"Commenti&Analisi" Il rigoroso economista che credeva nel sindacato (S.D’Antoni)

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    mercoledì 30 marzo 2005

    VENT’ANNI DOPO. RICORDO DI EZIO TARANTELLI, UCCISO DALLE BR
      Di Sergio D’Antoni
        Il rigoroso economista che credeva nel sindacato
          Sono passati esattamente vent’anni dalla tragica scomparsa di Ezio Tarantelli. Aveva appena compiuto quarantaquattro anni quando la mattina del 27 marzo del 1985, in piena campagna referendaria sul taglio della contingenza, due assassini, affiliati alle Brigate Rosse, gli spararono alle spalle, nel parcheggio dell’Università, a pochi passi dall’aula dove aveva tenuto una lezione ai suoi studenti. Tarantelli era un intellettuale libero, uno studioso dell’economia del lavoro cresciuto alla scuola del premio Nobel Franco Modigliani. Dopo la laurea, era entrato nel 1966 come funzionario al Servizio studi della Banca d’Italia, dove aveva lavorato assieme a Carlo Azeglio Ciampi al primo modello econometrico dell’economia italiana, curando la parte relativa a produttività e salari. Aveva scelto, con convinzione, la strada dell’insegnamento, prima alla Cattolica di Milano dal 1971 al 1975, e poi dal 1976 alla facoltà di economia politica alla Sapienza di Roma. Le aule durante le sue lezioni erano stracolme di giovani, anche perché Ezio, oltre a essere un docente preparato, era davvero uno straordinario comunicatore. Lo avevo conosciuto nel luglio del 1983, quando entrai nella segreteria confederale della Cisl. Tarantelli dirigeva dal 1981 il centro studi dell’Isel (Istituto di studi e economia del lavoro) da lui stesso fondato e associato alla Cisl, che aveva “sposato” in un certo senso le sue tesi contro l’inflazione attraverso il controllo delle dinamiche dei costi e la predeterminazione della scala mobile.

          Tarantelli era un riformista di sinistra che aveva scelto la Cisl. Nei suoi articoli su Repubblica aveva sostenuto la tesi che per battere l’inflazione bisognava eliminare gli automatismi salariali e restituire al sindacato spazi di “agibilità negoziale”, sottratti alle dinamiche automatiche del costo del lavoro. Aveva difeso con coraggio le sue idee sul controllo della spirale inflazionistica e sulla necessità di uno “scambio politico”, come impegno del sindacato «per evitare che altri decidano per lui». Oggi la sua lezione è più che mai attuale, in una fase in cui il governo Berlusconi ha ridotto la concertazione a una sterile consultazione delle parti sociali. Lo abbiamo visto recentemente con il provvedimento sulla competitività, frutto di una lunga (e non risolutiva) mediazione tra i partiti di governo che ha anche seppellito la questione meridionale dall’agenda politica, visto che i fondi per il Mezzogiorno sono stati dirottati al Nord, e la discussione si è incentrata asfitticamente su una misura antistorica e protezionistica come i dazi doganali. C’è chi, nella attuale maggioranza di governo, ha parlato della concertazione come un modello “sovietico”. Ma, in verità, è l’esatto contrario: questo governo è diventato oggi il massimo del dirigismo e dello statalismo. La concertazione non ha nulla da spartire con la pianificazione dell’economia. E’ invece una politica di governo delle società complesse che si realizza attraverso il contributo e la partecipazione responsabile delle parti sociali, nella quale ciascuno degli attori assume impegni reciproci per raggiungere obiettivi economici condivisi. Non c’è alcuna imposizione o spoliazione dei poteri del Parlamento, perché alle Camere spetta il compito di regolare, liberamente, per legge ciò che il governo e le parti sociali hanno reciprocamente concordato nell’interesse del paese.
            Questo era il modello “riformista” che Tarantelli aveva sostenuto nei primi anni ’80 (che fu alla base dell’accordo di San Valentino del febbraio del 1984) e che ha trovato una sua efficace interpretazione nei grandi accordi del 1992 e del 1993 tra i governi e le parti sociali. Il risultato fu un lungo periodo di pace sociale, che permise la sconfitta dell’inflazione, la riduzione del debito pubblico attraverso il calo dei tassi d’interesse, il controllo di tutte le dinamiche (salari, fisco, tasse, rendite), la tutela del potere reale dei salari e delle pensioni. In un momento di grave crisi istituzionale, di congiuntura economica sfavorevole, di attacco alle istituzioni, il paese trovò in quella politica lo strumento di coesione nazionale, parola tanta cara al presidente della Repubblica Ciampi, per affrontare, con il massimo consenso, le necessarie riforme economiche e sociali che l’ingresso in Europa ci imponeva di varare. Esattamente quello che bisognerebbe fare anche oggi. Per onorare, con i fatti, la memoria e il sacrificio di Ezio Tarantelli.

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