20/3/2003 ore: 11:29
"Commenti&Analisi" Il mondo che ci aspetta oltre la tempesta di sabbia - di T.Garton Ash
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GIOVEDÌ, 20 MARZO 2003 |
Pagina 17 - Commenti |
Il mondo che ci aspetta oltre la tempesta di sabbia |
TIMOTHY GARTON ASH |
Mentre la seconda guerra del Golfo sta per incominciare, cerchiamo di intravedere, oltre la tempesta di sabbia, quali saranno i contorni del nuovo mondo. Come sempre accade nei nuovi mondi, si assiste in realtà a un misto di vecchio e di nuovo. Ufficiali americani davanti agli schermi dei computer pilotano bombe elettroniche, disattivando con impulsi elettromagnetici i sistemi di comando di Saddam a migliaia di chilometri di distanza. Al confronto, le battaglie intergalattiche di Star Trek sanno di realismo ottocentesco. E nello stesso tempo, in Kuwait le truppe di fanteria britanniche vengono addestrate al corpo a corpo. Un sergente maggiore incita un giovane soldato a emettere urla primordiali di odio selvaggio mentre getta sulla sabbia un pupazzo che raffigura il nemico e lo trapassa più e più volte con la baionetta. Una scena che in sostanza avrebbe potuto svolgersi nel 1415, alla vigilia della battaglia di Agincourt: un uomo psicologicamente condizionato perché ne uccida un altro infilandogli nelle viscere un ferro acuminato. Lo stesso accade in politica. C´è un aspetto nuovo: una leadership statunitense talmente fiduciosa nel suo strapotere militare e nelle sue ragioni morali da prepararsi a invadere la regione più esplosiva del mondo con un solo alleato, o al massimo due, se vogliamo contare l´Australia. E un aspetto antico: nella corsa alla guerra, la diplomazia dell´Onu ha finito per sfociare in un conflitto tra i tradizionali avversari europei, l´Inghilterra e la Francia. Come nel 1415 ad Agincourt. In queste ultime settimane, l´impianto politico dell´Occidente ereditato dalla guerra fredda è crollato davanti ai nostri occhi. Le torri gemelle della Nato e dell´Unione europea restano intatte fisicamente, ma non politicamente. Nessuno può sapere come si presenterà il nuovo mondo. Come ha detto Tony Blair martedì scorso nel suo magnifico discorso al parlamento britannico «la storia non ci palesa così chiaramente il futuro». Ma possiamo vedere fin d´ora, nelle grandi linee, tre idee in competizione tra loro per la successione in Occidente dopo l´era della guerra fredda: le chiamerò rumsfeldiana, di Chirac-Putin e blairiana. L´idea rumsfeldiana – se la parola idea non le fa troppo onore – è che la potenza americana sia dalla parte della ragione. Ha ragione perché è l´America. Gli Stati Uniti sono una città costruita su un colle. L´America è l´unica iperpotenza. Il mondo ormai è unipolare. La terra degli uomini liberi è stata attaccata dal terrorismo internazionale, il nuovo comunismo internazionale. Ha il dovere di difendersi. E comunque finirà per diffondere la democrazia in paesi come l´Iraq, e renderà migliore il mondo. Se alcuni alleati ci stanno, benissimo. Altrimenti faremo da soli, come ha detto Rumsfeld quando sembrava che le forze americane sarebbero andate in Iraq senza nemmeno l´appoggio delle truppe britanniche. Frattanto però si continua ad offendere con osservazioni rozze tutti i potenziali alleati. La visione rumsfeldiana è giusta a metà, e quindi completamente sbagliata. Probabilmente è vero che gli Stati Uniti potrebbero vincere da soli la maggior parte delle guerre. Ma non possono vincere da soli la pace. Mentre è questo che serve per battere il terrorismo, in Iraq, in tutto il Medio Oriente e oltre. L´idea di Chirac-Putin – se la parola idea non le fa troppo onore – è che la potenza americana sia pericolosa per definizione. Jacques Chirac considera insalubre che un unico Stato abbia tanto potere. E la cosa gli sembra particolarmente pericolosa se questo Stato è l´America (e non, diciamo, la Francia). Perciò un mondo unipolare è inaccettabile. La missione della Francia è costruire un polo alternativo, che dovrebbe essere l´Europa, che, secondo la geografia gollista, comprende la Russia. In altri termini, l´Eurasia. La battaglia diplomatica di queste ultime settimane, con da una parte l´alleanza continentale franco-russo-tedesca (più la Cina) e sul fronte opposto quella marittima Usa-Gran Bretagna-Spagna (più l´Australia) mi ha riportato alla mente 1984 e la guerra dei superblocchi, che George Orwell chiamò Eurasia e Oceania. La visione Chirac-Putin è giusta a metà, e quindi completamente sbagliata. È effettivamente insalubre che un´unica potenza, per quanto democratica e benevola, sia preponderante come lo sono oggi gli Stati Uniti. Tentiamo un´analogia sul piano interno: sarebbe un bene per la democrazia americana se la Casa Bianca potesse imporre la sua volontà al Congresso e ignorare la Corte Suprema in ogni campo? Ma per la Francia, fare causa comune con una Russia semi-democratica (e con il macellaio dei ceceni) e con una Cina nient´affatto democratica, in una campagna diplomatica che ha temporaneamente soccorso Saddam Hussein non è il modo migliore per andare verso un mondo multipolare. Comunque sia, l´Eurasia non sarà mai unita contro gli Usa. Come abbiamo visto, anche in questa crisi circa metà dei governi europei hanno anteposto la solidarietà ai gravi dubbi sulla saggezza della politica irachena del governo Bush. Resta l´idea blairiana; quella della necessità di ricreare una visione più ampia della guerra fredda e dell´Occidente transatlantico, in risposta alle nuove minacce che stiamo affrontando. Quella che Blair ha definito «la confluenza delle armi di distruzione di massa e del terrorismo» non ci dovrebbe spaventare meno dell´Armata rossa. Per sconfiggere questa minaccia, l´Europa e l´America devono combattere unite. È giusto che gli europei si preoccupino dell´unilateralismo Usa, ma come ha detto Blair alla Camera dei Comuni, «questa questione va affrontata nel partenariato e non nella rivalità. Un partner non è un servitore, ma neppure un rivale». Nel settembre scorso, l´Europa avrebbe dovuto rivolgersi agli Usa «con una sola voce», per dire sì all´azione voluta da Washington contro la duplice minaccia del terrorismo e delle armi di distruzione di massa, ma a condizione che seguisse la via dell´Onu e rilanciasse il processo di pace tra israeliani e palestinesi in Medio Oriente. Qualunque cosa accada ora, l´Europa e l´America dovrebbero collaborare come partner, e farlo, ovunque possibile, attraverso le istituzioni internazionali sorte dopo il 1945. L´idea di Blair è pienamente giusta. Il problema è la sua attuazione. Lo stesso Blair ha commesso l´anno scorso due gravi errori. In primo luogo, nel settembre 2002 non si è sufficientemente impegnato per indurre l´Europa a parlare «con una sola voce». Si è invece pressoché inserito nel dibattito interno dell´amministrazione Usa, trascurando Parigi e Berlino che intanto si lanciavano insieme in un walzer antibellicista. In secondo luogo, ha dimenticato che in un rapporto tra partner a volte bisogna anche saper dire di no. Blair dà l´impressione di essere il classico inglese molto perbene, che dice sempre di no alla droga ma mai a Washington. Questi due errori sono strettamente legati tra loro. Quanto più la voce dell´Europa è forte, tanto più è credibile che possa anche dire di no; e tanto meno probabile che sia costretta a farlo. Resto convinto che questa particolare guerra, in questo particolare momento, sia legittima, necessaria o prudente. E spero fino all´ultimo che la nostra vittoria sia rapida, che il nefasto regime di Saddam crolli come un castello di carte e che le conseguenze in Medio Oriente siano positive per l´Iraq, per il resto del mondo musulmano e per il processo di pace tra Israele e Palestina. Sono fermamente convinto che la visione blairiana di un nuovo ordine post bellico della politica internazionale sia quanto di meglio si possa trovare oggi sul mercato, alquanto depresso, della leadership mondiale. Perciò sarebbe stato grave, non solo per la Gran Bretagna ma per il mondo intero, perderlo in questa guerra. Ovviamente, il guaio è che per realizzare la visione blairiana non si può fare a meno dell´accordo di Parigi e di Washington. Con Chirac da una parte e Donald Rumsfeld dall´altra, le prospettive non sembrano buone. Ma nella tempesta di sabbia della guerra tutte le vecchie carte saranno rimescolate. Traduzione di Elisabetta Horvat |