"Commenti&Analisi" Il Governo non deve snobbare il referendum - di B.Della Vedova

Mercoledí 12 Marzo 2003
ITALIA-LAVORO
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Il Governo non deve snobbare il referendum |
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di BENEDETTO DELLA VEDOVA
Nell'incontro di qualche giorno fa tra Francesco Rutelli e Fausto Bertinotti, Ulivo e Rifondazione Comunista hanno convenuto sulla necessità di «rimuovere l'oscuramento sull'appuntamento referendario», quello per estendere l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori anche alle piccolissime imprese. Le posizioni nel merito restano naturalmente assai distanti, ma il passo compiuto non è irrilevante, rispetto ad una scadenza politica che potrebbe avere luogo tra una manciata di settimane. L'opposizione è apparsa fin dal principio molto più vulnerabile che non la maggioranza rispetto allo scontro sull'articolo 18: la proposta massimalista di Bertinotti (benché logica conseguenza delle argomentazioni portate nel tentativo di demonizzare il referendum radicale per l'abolizione dell'obbligo del reintegro prima e della proposta di riforma del Governo poi) divide duramente non solo Rifondazione dal resto dell'Ulivo ma porta contrasti anche all'interno dei Ds e vede l'appoggio convinto dei Verdi. Dall'altra parte, invece, l'intera Casa delle libertà appare in teoria schierata compattamente per il No al quesito. In più, la proposta di irrigidire ulteriormente il mercato del lavoro, assestando un colpo mortale alla vitalità delle piccole imprese, non sembra certo destinata, neppure con la più demagogica delle campagne elettorali, a trovare il supporto maggioritario dell'opinione pubblica. In definitiva, si intravede la possibilità di una importante affermazione di un ampio fronte che non potrebbe essere definito riformatore tout court, ma che sicuramente respingerebbe all'angolo del ring politico le forze più conservatrici in materia economica. Perchè ciò avvenga, però, è necessario che il confronto politico sia vigoroso e che le forze di maggioranza accettino di condurlo a viso aperto. Il rischio che finisca per prevalere la tentazione di un lento scivolamento verso posizioni più o meno esplicitamente astensioniste, invece, appare tutt'altro che remoto. Ad un primo segnale positivo lanciato dal ministro Roberto Maroni che ha sottoscritto il documento di uno dei Comitati per il No, quello promosso dal forzista Renato Brunetta e da Giuliano Cazzola, è seguito il silenzio. Anzi, le indiscrezioni circa l'intenzione di fissare la data per la consultazione il più in là possibile (verso la metà di giugno) lascerebbero intendere il mal celato desiderio del Governo di non dare rilievo all'appuntamento referendario. Si tratterebbe di un'occasione perduta e al contempo di un grave rischio. L'occasione perduta sarebbe quella di portare alla vittoria elettorale un ampio schieramento riformatore, seppure su di una piattaforma minimalista, quella del no all'estensione del reintegro. Non sono poi così lontani gli anni in cui proprio dai referendum e dal voto diretto dei cittadini sono venuti impulsi decisivi alle riforme istituzionali, e neppure troppo lontano è il referendum del 1985 sulla scala mobile, che premiò la politica del presidente del Consiglio, Bettino Craxi, che alla fine si schierò in modo netto per il No accettando e vincendo lo scontro con buona parte del mondo sindacale e della sinistra. Il grave rischio, invece, è che l'inerzia della Casa delle libertà porti alla vittoria del sì. Oltre al Comitato di area governativa e a quello promosso dai radicali, praticamente tutte le associazioni degli imprenditori sono intenzionate a scendere attivamente in campo, ma è prevedibile che in assenza di un impegno diretto dei leader della maggioranza la campagna di Rifondazione, di parte dei Ds e magari di Cofferati e di "movimenti" e "girotondi" finirà per avere la meglio. Certo, è facile intuire che dietro il defilarsi della maggioranza vi sarebbe l'intento di far mancare il quorum del 50% di partecipanti al voto e rendere nulla la consultazione, ma il segnale politico che deriverebbe da una vittoria ancorché virtuale dei Sì sarebbe poderoso. Neppure nel referendum radicale di tre anni fa per l'abolizione dell'articolo 18 venne raggiunto il quorum (principalmente per l'astensionismo dichiarato della allora neonata Casa delle Libertà), ma ciò non ha impedito ai sindacati di fare pesare sul piano politico (eccome!), quella maggioranza di No tra i partecipanti al voto. Il treno di quanti vorrebbero un irresponsabile irrigidimento dell'economia italiana è in marcia, seppure nessuno sembra interessarsene, e sarebbe sbagliato stare a guardare sperando che finisca su un binario morto. Certo, la maggioranza ed il suo leader assumerebbero un qualche rischio politico con una presenza attiva nella campagna referendaria, quello di una improbabile vittoria dei Sì. Ma senza il rischio di impresa si finisce per costruire poco di duraturo e tantomeno di innovativo, anche in politica.
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