"Commenti&Analisi" Il difficile mestiere del sindacato nell’era Berlusconi (B.Ugolini)
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sabato 15 maggio 2004
l’analisi
Il difficile mestiere del sindacato nell’era Berlusconi
Bruno Ugolini
E’ davvero difficile fare sindacato nell’Era Berlusconi. Eppure l’assemblea dei delegati Cgil esprime un messaggio di fiducia. Fiducia nelle proprie forze e nelle rinate convergenze con Cisl e Uil. Una fase nuova può aprirsi, anche nelle situazioni più difficili, anche tra i metalmeccanici, dopo quattro anni d’accordi separati. Così lascia intravedere Gianni Rinaldini, il leader della Fiom, sia pur confermando dissensi e scetticismi su diverse scelte della Cgil (patto dei produttori, politica dei redditi). Così la Cgil testimonia di essere unita nelle cose di fondo, con le sue molteplici soggettività. Non un Moloc, ma un’organizzazione viva. La stessa area “iperiformista” esprime, con Agostino Megale (presidente dell’IresCgil), la concordanza con l’impostazione data da Guglielmo Epifani. Sia pure auspicando maliziosamente, ora, comportamenti conseguenti soprattutto da parte della Fiom.
A rendere difficili le cose sta il fatto che il movimento sindacale deve fare i conti con una situazione anomala. C’è stato tutto un periodo in cui improvvisati soloni del centrodestra tuonavano contro Cgil, Cisl e Uil accusate di esprimere solo dei “no”. Quando le Confederazioni hanno presentato una piattaforma articolata, richiedendo una trattativa, non si son mossi. Sono esplose, nel frattempo, alcune vicende. Hanno cominciato gli autoferrotranvieri di Milano, poi gli operai di Melfi, poi i lavoratori dell’Alitalia. Con il ricorso a forme di lotta spesso non rispettose delle regole a suo tempo concordate. La fine, decretata dal governo, del ricorso a metodi concertativi, la nessuna cura nel perseguimento della “coesione sociale”, ha portato a questo. Ogni pezzo del mondo del lavoro è stato costretto a cercare, con tutti i mezzi, una soluzione e l’ha raggiunta, anche col sostegno decisivo dei gruppi dirigenti confederali.
Il sindacato è apparso poi, soprattutto sulle grandi questioni nazionali, a cominciare dalle pensioni per finire con gli obiettivi di sviluppo, come un pugile costretto a menare fendenti a destra e a manca, magari a colpi di sciopero generale. Era come se prendesse di mira un muro di gomma. Anche per questo, crediamo, ha preso vita l’idea di un’alleanza con altre forze, a cominciare dalla Confindustria di Montezemolo. Un “patto dei produttori” era stato detto in un primo tempo. Una dizione che non piace a Gianni Rinaldini che vorrebbe che gli imprenditori italiani concordassero prima nello sgombrare il campo, ad esempio, dai processi di precarizzazione innescati dalla legge sul mercato del lavoro e da un’iniqua redistribuzione dei redditi. Il problema è che qualche convergenza, se non un vero e proprio patto, è possibile. Ed è forse l’unica strada per tentare di incidere sulle scelte di questo governo. La situazione è tale da spingere ad un’alleanza tutti coloro che sono seriamente preoccupati.
Ecco perché le prossime settimane saranno accompagnate da assemblee e scioperi. Il culmine si avrà la settimana prossima, il 21, nella manifestazione in Piazza San Giovanni per i contratti non rinnovati del pubblico impiego. E’ dunque prevista una lunga mobilitazione che accompagnerà la stessa campagna elettorale. Il sindacato non si schiera per questo o quel candidato, per questa o quella lista, ma prende posizione sui contenuti, sui problemi. Sarà una presenza unitaria. Quello che è stato definito il “pluralismo convergente” si concretizza. Le difficoltà non mancano, certo. Le rende evidenti un altro segretario confederale, Giorgio Casadio, nel rivendicare una continuità tra la Cgil di Epifani e quella di Cofferati, nel richiamare la necessità di immettere nel confronto unitario problemi come quelli sollevati dalla recente legge governativa sul mercato del lavoro. Resta il fatto che ora è possibile scrutare un orizzonte nuovo. Con la coscienza che sono in gioco non solo problemi di salario o di difesa del posto di lavoro ma anche di libertà. Il centrodestra - lo hanno osservato sia Epifani che Pezzotta - quando non riconosce i ruoli dei cosiddetti corpi intermedi, cominciando dai sindacati (ma dilagando nel settore informativo), chiude spazi di libertà, prepara tempi bui.
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