24/3/2003 ore: 9:39
"Commenti&Analisi" Flessibili, lo spot non è la vita - di B.Ugolini
Contenuti associati
Soluzioni
lunedì 24 marzo 2003
Atipiciachi di Bruno Ugolini
FLESSIBILI, LO SPOT NON È LA VITA
Continua ad apparire, ossessivo, sui teleschermi, lo spot pubblicitario voluto dal ministero del Lavoro. Esalta leggi che
ancora non ci sono e promette lavori, lavoretti, contratti, contrattini
d'ogni tipo, facili assunzioni. Altro che licenziamenti. Tutto in nome
del povero Marco Biagi, illustre studioso, vittima, un anno fa, di un
agguato preparato da un serial killer specializzato nell'assassinio di
tecnici che si occupano di problemi del lavoro. Sono convinto che quelle sequenze così sfavillanti, non piacerebbero a Marco Biagi, studioso serio e pignolo, non dedito a show spettacolari e che prestava il suo servizio con diversi governi e di diverso colore, convinto delle proprie idee. Quello spot ossessivo non piace,
poi, ai protagonisti di questa rubrica, gli "atipici" che già hanno provato sulla propria pelle forme di flessibilità che spesso e volentieri non sono considerate forme paradisiache di un diverso modo di lavorare.
Così possiamo immaginare la faccia di Paolo, ricercatore universitario,
mentre accende la televisione e sente quelle parole suadenti. Lui,
34 anni, brillante e stimato ingegnere, ha scritto un messaggio alla mailing list atipiciachi@mail.cgil.it che appare un grido di dolore.
La sua vita è presto raccontata: laurea brillante, dottorato di ricerca, borsa post-doc, assegno di ricerca, poi qualche contratto. Ora un nuovo assegno di ricerca, per un anno. Con intervalli in cui mancano i soldi per l'affitto, quelli per la macchina, per un paio di scarpe.
C'è un particolare che aggrava l'esistenza: è fuori sede, non ha una famiglia presso cui rifugiarsi. L'elemento che più lo opprime riguarda il terrore del futuro: «Non so se tra un anno avrò un lavoro. Non posso sposarmi, avere figli». Vive col timore che da un momento all'altro arrivi un giovinetto qualsiasi e gli porti via quel poco che ha. Così conclude: «Io sono carta straccia. La mia vita, i miei sogni, i miei amori sono carta straccia. E il peggio è che, quando questo sistema mi avrà tritato del tutto non avrò la possibilità di riciclarmi da nessuna parte…
Vedo in Tv le mille campagne miliardarie per salvare i cani dall'abbandono estivo. Ebbene voglio lanciare una campagna anche io: salvate la vita ad un ricercatore, non abbandonatelo sull'autostrada».
Non è solo Paolo. C'è anche Arantxa che sta in un'azienda della new
economy, ha un contratto che prevede 25 giorni di ferie, nessuna ora
di permesso retribuito, però indennità di malattia e buoni pasto.
Il problema, scrive, è che non esiste un contratto scritto, firmato.
Ha a che fare con un padrone che tratta i dipendenti con arroganza e maleducazione, come fossero esseri inferiori.
Urli e offese sono all'ordine del giorno. Ad un certo punto l'hanno
chiamata a fare il "content manager" (un posto di direzione) con promesse di "promozione a project" nel giro di due mesi.
Non è andata così. Ha fatto solo da tappabuchi. Ora lavora in un corridoio senza finestra, con un gigantesco neon sulla testa. Gli occhi, dopo novedieci ore, non ce la fanno più. «Lavorare lì dentro - scrive - significa solo sacrificio, non si ride mai, non si scambiano due parole». Eppure aveva letto di aziende simili dove si lavora "giocando", di open space super confortevoli e di gioco di squadra.
C'è del resto chi rimane beffato ancora prima di cominciare a lavorare.
È il caso di Elleffe, abitante a Piacenza.
Aveva fatto l'interinale per un anno a Milano e poi aveva deciso di trovare un'alternativa vicino a casa. Ed eccolo partecipare, a gennaio, alle selezioni per uno stage in un'agenzia di lavoro interinale.
Passa attraverso quattro colloqui e arriva l'ok per i primi giorni di
febbraio. Tutto sarebbe cominciato il dieci marzo. Elleffe, nel frattempo, rifiuta altri lavori, anche se a tempo determinato. Ma ecco, prima dell'inizio dello stage, il freddo annuncio: tutto revocato per problemi amministrativi. Ora è da sei mesi a casa, con un pugno di mosche.
Sono storie che dovrebbero far impallidire gli autori di quello
spot pubblicitario. E fanno capire che forse Marco Biagi e tutti quelli
che si sono impegnati a modernizzare i rapporti i lavoro, avrebbero
dovuto forse mettere come presuppostopregiudiziale quello «Statuto
dei lavori» che lo stesso Biagi aveva già in parte elaborato. Per non mandare i flessibili allo sbaraglio.