"Commenti&Analisi" Amaro Colf (C.Saraceno)
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13 Settembre 2003
FONDAMENTALI E POCO AMATE: IL MONDO DELLE BADANTI
AMARO COLF
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Chiara Saraceno
SONO spesso più colte dei loro datori di lavoro (46% diplomate, 25% laureate). Affidiamo loro quanto abbiamo (o dovremmo avere) di più prezioso: i nostri bambini, i nostri anziani fragili, le nostre case. Sono quelle che in modo squalificante e un po' dispregiativo chiamiamo badanti intervistate per la ricerca del Cnel curata dalla Fondazione Andolfi. Da loro ci aspettiamo molto, spesso troppo: lunghi orari di lavoro, scarso rispetto dei periodi di riposo, straordinari e malattia pagati raramente, sia quando si tratta di lavoratrici regolari che ancor più quando non lo sono. Una ricerca curata da Cristiano Gori (Il welfare nascosto, Carocci 2003) ad esempio ha trovato che esistono consistenti differenze nella remunerazione non solo tra italiani e stranieri, ma tra stranieri regolari e irregolari. Ci aspettiamo anche totale dedizione, vuoi con il ricatto della presenza irregolare, vuoi con quello morale e affettivo, così diffuso nel lavoro di cura: ci fidiamo solo di te; il bambino, la mamma, l'invalido, vuole solo te. Ma questa aspettativa di dedizione totale non sempre si accompagna ad un riconoscimento non solo dei loro diritti, ma anche di loro come persone. Queste donne segnalano come i rapporti di lavoro spesso non siano segnati solo da sfruttamento, ma anche da mancanza di rispetto. Considerate «non persone», sono spesso testimoni silenziose delle vicende e dei rapporti familiari più privati, mentre loro stesse hanno poco spazio - fisico, temporale, relazionale - per una vita privata, non diversamente da quanto accadeva nei rapporti tra padroni e servitù negli anni cinquanta. Silenziose sì, ma attente. I giudizi di queste donne sui comportamenti familiari di cui sono testimoni non sono molto lusinghieri: non onoriamo abbastanza i nostri vecchi, siamo troppo permissivi con i nostri bambini. Questa osservazione ha suscitato in qualche commentatore nostalgie del buon tempo antico, quando le donne stavano a casa e tutto funzionava a meraviglia. Ma a ben vedere queste donne, oltre a provenire da paesi in cui gli equilibri, o squilibri, demografici sono del tutto diversi dai nostri, in realtà non praticano, per necessità o scelta, il modello che evocano. Benché per il 67% abbiano figli, spesso non li vedono anche per due anni e più di fila. E ai loro vecchi dovrà badare qualcun altro. In una inedita divisione del lavoro su base internazionale, rispetto alla loro famiglia a loro tocca il compito di mantenimento (in media 6-10 familiari in patria), ad altre (sorelle, cognate, nonne) il compito della cura. Invece di idealizzarle, forse sarebbe meglio riconoscerle nella concretezza delle loro difficoltà e diritti. Favorendo, tra le altre cose, più facili visite e ricongiungimenti familiari, che invece spesso richiedono pratiche costose e talvolta arbitrarie. Anche se, così facendo, non potremmo più avere tutte per noi le loro cure.
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