17/2/2006 ore: 10:55
"Bolkestein" La sindrome dell’idraulico (M.Ferrera)
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Prima pagina e Pagina 44 - Opinioni Anche la relatrice del provvedimento Evelyne Gebhardt si ? complimentata con tutti i colleghi per aver ?ribaltato? l'impostazione originaria della direttiva, riorientandola in senso ?sociale?. In queste dichiarazioni c'? senz'altro l'amplificazione retorica tipica di ogni dibattito parlamentare che si rispetti. In realt? sappiamo che nel testo licenziato ieri un po' del progetto Bolkestein ? rimasto: anzi, persino pi? Bolkestein di quanto ci aspettavamo. Ma alla radice del voto sta una tesi forte e precisa, sulla quale merita discutere, pacatamente ma esplicitamente. ? la tesi secondo cui pi? mercato, pi? liberalizzazioni, pi? concorrenza significano essenzialmente meno ?socialit?. L'apertura ? percepita come sfida al modello europeo, alle sue conquiste sul fronte della giustizia e alimenta la sindrome dell’idraulico polacco portatore di malevoli progetti neo-liberisti. Il potere di seduzione di questa tesi ? in parte comprensibile, soprattutto in una fase di ristagno economico. Ma vi sono almeno tre obiezioni che meritano di essere considerate e su cui la grande coalizione anti-Bolkestein dovrebbe chiarire la propria posizione. La prima obiezione ? che non ? affatto detto che la difesa dello status quo serva la causa della giustizia sociale. Il punto pu? suonare ormai trito, ma all'ombra delle tante pratiche nazionali di ?chiusura? prosperano molte categorie che deboli e bisognose non sono affatto: quali criteri di giustizia giustificano le loro protezioni? L'esclusione dalla Bolkestein dei servizi farmaceutici ? stata votata dal Parlamento sulla base del fatto che ?le professioni sanitarie sono regolate nel paese di fornitura dei servizi?; quella dei taxi in base all'osservazione che il loro servizio ?? fornito su base locale o regionale?. Che razza di giustificazioni sono queste? La seconda obiezione ? di segno opposto: in molti casi l'apertura risponde a criteri di giustizia sociale perch? crea condizioni di scambio pi? equilibrate e simmetriche. Il discorso non vale solo per il rapporto fra produttori e consumatori, ma anche per diverse categorie di produttori. La Svezia invade i mercati dei Paesi baltici con i propri prodotti ad alto contenuto tecnologico, traendone grandi vantaggi economici. Perch? negare a questi Paesi la possibilit? di operare in Svezia sfruttando il loro unico vantaggio comparato, ossia un costo del lavoro relativamente pi? basso? Sulla questione ? gi? in corso un contenzioso presso la Corte di giustizia: ? difficile contrastare le rivendicazioni baltiche con argomenti accettabili sul piano della giustizia distributiva. La terza obiezione ? che l'equazione ?pi? apertura=meno socialit? vale (quando vale) solo in prospettiva statica. ? ovvio che aprendo il mercato dei servizi mettiamo in crisi i sistemi di protezione vigenti, esponendo alcuni gruppi di lavoratori a nuovi rischi. Ma possiamo contrastare questo scenario adattando i vecchi sistemi o inventandone di nuovi. E lo possiamo fare coinvolgendo maggiormente l'Unione europea in questo sforzo, sul piano sia legislativo che finanziario. L'aspetto forse pi? deludente del dibattito parlamentare sulla Bolkestein ? stata la mancanza di una qualche visione strategica, capace di andare al di l?, appunto, dell'arroccamento a difesa degli schemi vigenti qui ed ora a livello nazionale. Nel suo intervento di luned? scorso su queste colonne, Antonio Panzeri ha ricordato la figura di Jean Monnet, difendendo la politica dei piccoli passi. I padri fondatori della Comunit? avevano per? un grande disegno strategico, che riguardava proprio la creazione di un circolo virtuoso fra mercato (pi? crescita) e welfare su scala continentale. Pu? darsi che il compromesso raggiunto ieri dal Parlamento sia un piccolo passo avanti: qualche barriera verr? rimossa, qualche servizio comincer? a girare. Ma del disegno strategico non c'? nessuna traccia. |