17/1/2006 ore: 12:12
"BladeRunner" Allarme del Professore
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ROMA E’ tutto il giorno che lo stanno bistrattando, gli stanno dicendo - via agenzia - che lui è un ospite, che non è Dio sceso in terra, che sta andando a sbattere contro il muro. Sono le sei della sera e nel suo studio di piazza Santi Apostoli, Romano Prodi mastica il toscano e, per quanto la lettura delle agenzie gli susciti un po’ di irrigidimento delle labbra, non lo si direbbe di cattivo umore. Da quando è tornato in Italia mai come in questo 16 gennaio 2006 i suoi partiti stanno trattando Romano Prodi come un leader sopportato. Ma il Professore ostenta in pubblico coi cronisti («Nulla può turbare la mia serenità») la stessa nonchalance che riserva ai suoi in privato. Per la prima volta Prodi si è convinto che la vittoria elettorale non sia più a portata di mano: «Vedo che i due partiti insistono col dire che le decisioni sulle liste le abbiamo prese assieme e non si possono più cambiare. Ma stiamo scherzando? Nel frattempo sono accadute molte cose e anche serie. Possiamo far finta di nulla? O serve, come io credo, uno scossa? E’ il momento di lanciare l’allarme». Anche perché i sondaggi, certo da prendere con le molle, dicono che il contraccolpo dell’affare Unipol è stato forte, più di un milione di elettori è diventato incerto. Mentre l’assedio via agenzia continua nel lungo pomeriggio romano attorno a Prodi è riunito il Gran Consiglio del Professore al completo: Arturo Parisi, Ricky Levi, Giulio Santagata, Silvio Sircana, Angelo Rovati, Alessandro Ovi, Mario Barbi, Rodolfo Brancoli. Un pomeriggio indimenticabile. Contro Prodi spara Fassino, spara Gentiloni, spara Marini. «Oggi solo calci in faccia», è il commento prosaico di uno dello staff. Ma l’analisi di Prodi resta distante da quella pragmatica dei partiti. «Se continuiamo a viaggiare col pilota automatico andiamo sì a sbattere», incalza il Professore. E la disposizione della squadra non gli piace proprio, quell’Ulivo soltanto alla Camera è una specie di «lista civetta», qualcosa che presta il fianco alla più banale delle osservazioni: «Ma se volete il partito democratico, perché andate nelle due Camere vi presentate in modo diverso?». Durante la giornata Prodi parlava al telefono prima con Fassino e poi con Rutelli. Senza trovare un compromesso capace di soddisfare le parti in causa. Ma con un dubbio ben custodito nella testa del Professore: stavolta l’ennesimo rilancio rischiava di finire in flop. Tante volte (auspice un professionista del genere come Arturo Parisi) Prodi ha rilanciato apparentemente al buio, finendo per incassare risultati inimmaginabili. Come le liste unitarie alle Europee e alle Regionali che i partiti hanno maldigerito. Ma stavolta? Davanti al muro ds e Margherita, per tutto il giorno nell’entourage non prendeva quota neppure la suggestione della Lista Prodi, una subordinata che ha sempre intrigato il professor Parisi e i suoi seguaci ma che non è mai decollata per le concessioni via via fatte da Ds e Margherita (Lista unitaria alla Camera, capigruppo unici nella prossima legislatura). Subordinata irrealistica come prova anche la modestia della “contraerea” mandata in giro dai prodiani mentre i partiti bombardavano il quartier generale: nel pomeriggio è stato diffuso un appello di “intellettuali” a favore del partito democratico sottoscritto da un limitato drappello di studiosi vicinissimi a Prodi tra cui Filippo Andreatta, Gregorio Gitti, Salvatore Vassallo. A sera Prodi si è visto con Rutelli e Fassino, accompagnati dai big dei due partiti, a cominciare da D’Alema. E a quel confronto Prodi si è presentato con l’intenzione di riproporre le domande per lui chiave: «Siamo consapevoli che la situazione si è complicata? Che l’Ulivo così come è non entusiasma nessuno? Io penso che sarebbe bene investire di più sull’Ulivo, ma se voi avete altre proposte per invertire la tendenza, vi ascolterò». Ma Prodi e i suoi immaginano che se i partiti faranno resistenza, non resterà che investire tutto sul rafforzamento del leader. E dunque Prodi intende sovrintendere alla formazione delle liste, punta ad avere un congruo numero di candidature di personalità a lui vicine (almeno una decina) , se continueranno a proporgli 4 capolistati (su 27) è pronto a chiederne per se uno solo, ritiene che per la sua campagna elettorale servano più soldi di quelli stanziato dai partiti, crede che in almeno 4 regioni darebbe utile presentate liste civiche. |