17/3/2006 ore: 11:42

"Bankitalia" Il lavoro debole ha due facce (P.Ichino)

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    venerd?, 17 marzo 2006

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    Attenti, il lavoro debole ha almeno due facce

    Pietro Ichino
      Le statistiche di Bankitalia sulle assunzioni a termine confermano la tendenza all’aumento del lavoro precario, soprattutto tra le nuove generazioni. Pu? colpire che questo allarme venga da quella stessa cattedra dalla quale sovente, in passato, ? stata raccomandata una maggiore flessibilit? della disciplina del rapporto di lavoro; ma l'osservazione empirica di oggi non contraddice affatto quelle indicazioni di policy: semmai le rafforza. Il problema non sta tanto nell'esistenza di un'area di lavoro precario, quanto nella difficolt? di uscirne con la maturit? professionale, accedendo all'area del lavoro protetto; e l'inaccessibilit? di quest'ultima ? conseguenza proprio dell'eccesso di rigidit? della protezione.
        Sarebbe utile che le statistiche incominciassero anche a distinguere tra i due tipi di lavoratori coinvolti nel fenomeno del precariato, di cui proprio pochi giorni fa abbiamo discusso su queste pagine (Corriere del 14 marzo). Un problema ? quello del lavoratore precario professionalmente forte, che ha soltanto la sfortuna di collocarsi in settori del mercato dove i posti di lavoro stabili, per vari motivi di natura istituzionale o sindacale, si bandiscono col contagocce: cos? nelle universit?, negli ospedali, nelle case editrici, in generale in tutto il settore pubblico; un problema di natura molto diversa ? quello del lavoratore precario debole, che riesce a trovare un’occupazione soltanto sotto-standard perch? ? meno produttivo della media della sua categoria. La distinzione tra i due casi ? molto importante, perch? le rispettive possibili cure sono diverse; e se non si coglie la differenza si rischia di fare disastri. ? dunque auspicabile che in futuro la Banca d'Italia e l'Istat facciano il possibile per rendere i due aspetti del lavoro precario meglio visibili, quantificabili e individuabili nella mappa del tessuto produttivo nazionale.
          Il lavoratore precario professionalmente debole ? solitamente occupato in settori, o margini del tessuto aziendale, caratterizzati da alta elasticit? della domanda: cio? in zone dove a un aumento anche modesto del costo del lavoro corrisponde una riduzione rilevante della domanda. Qui, se l'intervento consiste nell'imporre uno standard di trattamento pi? costoso per l'azienda (e anche la stabilit? costituisce un costo assai rilevante, a parit? di retribuzione), esso pu? determinare la soppressione del posto di lavoro. Lo sanno bene - per esempio - i sindacati che nei call center sono costretti ad andare con i piedi di piombo nel rivendicare la regolarizzazione di migliaia di false collaborazioni autonome, per evitare il rischio di far perdere il posto a migliaia di giovani.
            Nelle ultime settimane l'Unione col suo programma elettorale e la Cgil con le tesi approvate dal suo ultimo congresso hanno indicato come obiettivo generale di politica del lavoro la parificazione del costo dei cosiddetti lavori atipici rispetto a quello del lavoro regolare. Faranno bene anch'esse ad andare con i piedi di piombo su questo terreno, se non vogliono mietere vittime tra i precari. ? questo un terreno sul quale l'uguaglianza non si garantisce con un tratto di penna del legislatore, ma va costruita nel vivo del tessuto produttivo con l'intelligenza delle analisi e con l'efficienza dei servizi di educazione, informazione, orientamento professionale, formazione mirata e assistenza alla mobilit? geografica: i soli mezzi utili per neutralizzare l'handicap di cui soffre il lavoro debole.

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