"Analisi" La vera anima della Biagi (P.Ichino)
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marted? 26 settembre 2006
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A tre anni dall’approvazione della legge
La vera anima della Biagi
di Pietro Ichino
Fra pochi giorni saranno tre anni esatti da quando ? entrata in vigore; e il tempo ? galantuomo. Allora maggioranza e opposizione, divise su tutto ma accomunate nell’incapacit? di comprendere il contenuto di quegli 86 densi articoli, si fecero reciprocamente sponda nel presentarla come ?la grande liberalizzazione? del mercato del lavoro: da una parte per esaltarla, dall’altra per demonizzarla. Oggi i fatti si incaricano di mostrare l’anima laburista di quella legge, che le convenienze e le ottusit? politiche bipartisan avevano totalmente occultato; e l’una parte e l’altra ne sono assai imbarazzate.
Il disegno di Marco Biagi era quello di un diritto del lavoro capace di comprendere e regolare tutta la realt? del tessuto produttivo: anche la parte che allo Statuto dei lavoratori del 1970 era ormai da tempo riuscita a sottrarsi. Egli aveva dunque voluto, s?, nella nuova legge alcuni nuovi elementi di flessibilit? regolata (e questa ? la parte dove la legge ha dato minori risultati); ma aveva anche inteso combattere incisivamente, con un giro di vite severo, proprio la forma pi? frequente di elusione del diritto del lavoro: l’abuso delle collaborazioni autonome continuative (co.co.co.). Questa ? la parte della legge che oggi sta mostrandosi pi? efficace: un’indagine di Unioncamere conferma la netta diminuzione in atto delle ?collaborazioni? nel settore privato. Altro che ?grande liberalizzazione?!
Il caso-pilota, su questo terreno, ? quello di Atesia, un grande call center cui gli ispettori del lavoro nelle settimane scorse, proprio applicando la legge Biagi, hanno intimato di trasformare migliaia di collaboratori autonomi in lavoratori subordinati regolari. La sinistra radicale plaude all’azione incisiva degli ispettori contro il precariato, ma nello stesso tempo insiste per l’abrogazione della legge Biagi. La contraddizione ? evidentissima; e, a questo punto, dolosa.
Ha i suoi seri grattacapi anche il ministro del Lavoro Damiano, che considera con preoccupazione quel che potrebbe accadere se, in nome della lotta al precariato, l’applicazione rigorosa della legge Biagi dovesse estendersi a tutte le aziende che abusano delle collaborazioni autonome. E si capisce che sia preoccupato, perch? i casi si contano ancora a centinaia di migliaia. Il costo annuo di un lavoratore subordinato regolare si aggira intorno ai 25.000 euro, mentre per la stessa mansione un lavoratore a progetto pu? costare la met?; il rischio che la regolarizzazione si traduca in una perdita rilevante di occupazione ? molto elevato.
Proprio la legge Biagi pone dunque la sinistra e il governo di fronte all’alternativa tra combattere per davvero il precariato abusivo, a rischio di mandare a casa molta gente, o chiudere un occhio per evitare sconquassi, lasciando sostanzialmente le cose come stanno. Sarebbe possibile anche una terza opzione: quella di riprendere il discorso su di una riforma profonda del nostro diritto del lavoro e del nostro sistema di relazioni industriali, che li ponga in grado di comprendere e governare efficacemente l’intero tessuto produttivo in tutta la sua complessit? e con tutti i suoi interni squilibri: passaggio indispensabile, questo, per un programma serio di riduzione graduale di quegli squilibri.
? questa la parte del disegno originario di Marco Biagi dove davvero la sua legge non ha funzionato bene; ma di questo a sinistra non si parla, perch? affrontare questo discorso implica che si mettano in discussione troppe cose nel vecchio sistema.
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