2/5/2007 ore: 10:49
"Analisi" Il nuovo cantiere apre senza falce&martello (F.Rondolino)
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Pagina 10 - Politica Analisi La rivoluzione della geografia post comunista senza falce&martello I comunisti in Italia nacquero come corrente organizzata al Congresso di Milano del Psi, nel 1911, in opposizione ai riformisti. Si chiamavano semplicemente la «Sinistra». E «A sinistra», secondo quanto ricostruito da Riccardo Barenghi, si chiamerà probabilmente l’alleanza, o la federazione, delle numerose e variopinte formazioni della sinistra «radicale»: Rifondazione comunista, i Comunisti italiani, i Verdi e il Correntone ex-Ds (che dalla prossima settimana si chiamerà «Movimento della Sinistra democratica per il socialismo europeo»). A guidare il progetto, per una curiosa ironia della storia, proprio l’ultimo erede della sinistra socialista, nel Psi e poi nel Psiup: Fausto Bertinotti. Che potrà dunque essere ricordato come chi ha rifondato il comunismo, o almeno ci ha provato, e come chi lo ha definitivamente mandato in pensione. Non c’è alcuna ironia in questa constatazione. Il punto di riferimento politico di Bertinotti e dei suoi quadri più importanti (provenienti non per caso, come Giordano e Vendola, dalla Fgci di Folena, a sua volta promotore con Tortorella di «Uniti a sinistra», la rete associativa che proprio ieri si è riunita a Roma) è sempre stato l’ultimo Berlinguer: quello che in nome della «diversità» e di fronte alla crisi dell’Urss provò a «rifondare» il Pci aprendosi al pacifismo, all’ambientalismo, al femminismo. Da questo punto di vista, «comunismo» è un termine insieme identitario e limitativo. Nel pantheon di Rifondazione, dopo la scissione dei «togliattiani» Cossutta e Diliberto, è rimasto Gramsci e, soprattutto, Berlinguer: cioè l’inizio leggendario e il vagheggiato oltrepassamento del comunismo italiano; di ciò che sta in mezzo soltanto Pietro Ingrao, l’incarnazione vivente dell’eresia, è riconosciuto come padre nobile. Che dunque Bertinotti voglia tranquillamente liberarsi del «comunismo» non è in sé una sorpresa e neppure una novità; più complessa, almeno sul piano teorico, la posizione di Diliberto. Nato per sostenere il primo governo D’Alema, dopo che Rifondazione fece cadere Prodi, il Pdci è divenuto in tempi recenti l’ala ultraradicale della sinistra radicale, al punto da farvi fuggire quell’antico gentiluomo togliattiano che è Cossutta. L’iconografia, tuttavia, è rimasta solidamente comunista: dal simbolo, che ricalca alla perfezione quello del Pci disegnato da Guttuso, al giornale, che si chiama «Rinascita» come il settimanale di Togliatti, fino all’uso insistito del pronome «noi» nella relazione e negli interventi al congresso che si è appena concluso, il Pdci sembra a tutti gli effetti la miniatura del vecchio Pci, quello del Bottegone. Se tuttavia anche Diliberto accetterà di rinunciare alla denominazione comunista, magari perché costrettovi da una riforma elettorale che renda inutile il magro 2,3 per cento raccolto l’anno scorso, «comunisti» in Italia resteranno soltanto i redattori (e, s’immagina, i lettori) del «manifesto». A via Tomacelli si è tentato più volte di rimuovere dalla testata la targa «quotidiano comunista» (il primo fu Gianni Riotta più di vent’anni fa, sull’onda della trasformazione di «Libération» in Francia), ma la vecchia guardia ha sempre avuto la meglio: come prigionieri di una dispettosa macchina del tempo, gli ingraiani degli Anni Sessanta continuano orgogliosamente a dirsi comunisti e, in questo, presidiano una regione della memoria oramai pressoché deserta. Il resto è folclore o poco più: il Partito comunista dei lavoratori, fondato dal leader della minoranza trotskista di Rifondazione, Ferrando, si presenterà alle amministrative (per esempio a Genova, Rieti, Monza), ma sarebbe azzardato predirgli un avvenire radioso. Scendendo ulteriormente nella scala decimale, s’incontrano il Partito marxista-leninista italiano, d’ispirazione maoista, che si proclama «l’unico autentico partito comunista»; il Partito comunista italiano marxista-leninista, con sede a Forio (Napoli), stalinista; il Partito d’azione comunista, suo alleato; il Partito comunista internazionale, bordighista, che celebra il Primo maggio spiegando ai militanti che «tutti i partiti dello schieramento parlamentare, dall’estrema destra alla cosiddetta estrema sinistra pacifista, sono complici del militarismo imperialista»; il Partito comunista internazionalista, altrettanto (o più) bordighista, nato da una costola del precedente; il Partito comunista maoista d’Italia, con sede a Taranto. Fino al più straordinario e irrinunciabile di tutti, sebbene esista (per ora) soltanto sul web: il Partito comunista delle libertà, il cui motto è una frase pronunciata da Berlusconi nel famoso video della «discesa in campo»: «Noi crediamo nella libertà, in tutte le sue forme, molteplici e vitali...». |