26/6/2007 ore: 12:11

"Analisi" Dietro i dubbi sulla candidatura (M.Franco)

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    martedì 26 giugno 2007

    Pagina 13 - Politica


    LA NOTA
      Dietro i dubbi sulla candidatura
      un duello su primarie e governo
        I prodiani temono
        che Veltroni leader
        cancelli l'eredità
        del Professore

        di MASSIMO FRANCO
          L' opposizione sospetta un gioco delle parti fra Romano Prodi e Walter Veltroni. Col premier ricattato dall'estrema sinistra e costretto a rinviare ogni decisione, anche sulle pensioni; e il candidato alla segretaria del Partito democratico intento, secondo Sandro Bondi, numero due di FI, a produrre «pirotecniche illusioni ». Probabilmente, nel centrosinistra molti vorrebbero che fosse davvero così; che fra il Professore e il sindaco di Roma esistesse un tacito accordo a dividersi astutamente i ruoli. La realtà, tuttavia, appare un tantino diversa. Il piglio col quale i prodiani contestano il modo in cui sta prendendo forma la leadership veltroniana presuppone o un patto di ferro, o un contrasto almeno di metodo.

          Alla vigilia del «sì» ufficiale alla candidatura, previsto per domani a Torino, il rischio dell'unanimismo sta diventando un ritornello. Persone dalla storia diversa come i ministri Arturo Parisi e Rosi Bindi si smarcano dal tandem Veltroni- Dario Franceschini. Lo additano come un patto siglato dai vertici di Ds e Margherita; di fatto, come la negazione e non la sublimazione di quella mescolanza fra identità che dovrebbe essere la premessa del Pd. Quando Parisi avverte che se il sindaco rimane senza avversari «allora mi candido io», denuncia primarie potenzialmente truccate; e così quando chiede liste che non siano tutte collegate a Veltroni in nome di calcoli di corrente.

          Forse, queste obiezioni precedono quelle che sta meditando da giorni un Prodi irritato ed inquieto. C'entra il metodo di una candidatura «voluta da Fassino a nome dei ds», denuncia Parisi, «e del cosiddetto ticket con Franceschini in rappresentanza della Margherita». Ma ai diessini è facile ricordare ad «Arturo» che nel 1995 anche Prodi fu candidato per volontà dei partiti. Così, dietro la polemica e le critiche comprensibili, si avverte un altro timore: che la creazione del Pd sia destinata a destabilizzare palazzo Chigi. Si sa che il premier non si aspettava l'accelerazione e la designazione di Veltroni come «segretario forte»; e che sospetta una regia oggettivamente antiprodiana, nonostante le assicurazioni alleate.

          La richiesta del ministro Bindi a mettere fra i comandamenti del Pd quello di «dare continuità » al governo, riflette l'incertezza che regna intorno al presidente del Consiglio. La Bindi vede già i sintomi di un'operazione che non punta a «rafforzare il corpo fragile e sofferente dell'attuale governo ». Anzi, si preparerebbe ad «accompagnarne la fine»; o peggio, a «dargli il colpo di grazia ». Se questo è il clima, si capisce come la marcia di Veltroni si presenti tutt'altro che facile; e come le riserve di metodo possano preludere ad una resistenza politica tesa a condizionare, se non a frenare la sua ascesa. Sostenere che se cade Prodi «si brucia la nuova classe dirigente», somiglia ad un altolà.

          I vertici dei partiti fondatori del Pd sembrano tentati infatti da un'operazione opposta. Ritengono che lanciare la candidatura del sindaco alla segreteria, ed in prospettiva a palazzo Chigi, non possa che passare per l'«oscuramento» del governo: senza escludere una crisi. Sarebbe inevitabile per grattare via la patina d'impopolarità che si è posata sul centrosinistra ; e della quale Prodi è considerato uno dei maggiori responsabili. Dunque, sarebbe un premier logorato che rischia di proiettare l'alone negativo sul successore. Ma è una vulgata che palazzo Chigi non può assecondare. La denuncia dell'«unanimismo » appare anche la rivendicazione di un'identità che l'Unione vorrebbe mettersi frettolosamente alle spalle.

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