20/12/2006 ore: 10:51

"Analisi" Agli italiani l’euro non è piaciuto (P.C.Padoan)

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    mercoled? 20 dicembre 2006

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    BILANCI. A CINQUE ANNI DALL’INTRODUZIONE
      Di Pier Carlo Padoan
        Agli italiani l’euro non ? piaciuto
        Aspettavano pi? crescita e pi? lavoro
          A cinque anni dalla introduzione dell’euro ? tempo di bilanci. Sono certo utili quelli sull’andamento dell’economia ma lo sono, almeno altrettanto, quelli sul sentimento (dei cittadini) a proposito dell’economia e di quanta colpa (o merito) dare all’euro per quello che ? successo. Una indagine del Cer (Centro Europa Ricerche) sui sentimenti degli italiani nei primi cinque anni dell’euro ?, per molti versi, illuminante. Nel 2001 gli italiani erano, in Europa, i maggiori sostenitori della moneta unica. Dopo cinque anni il loro sostegno ? sceso al di sotto di quanto avvenga in Francia e Germania, che, invece, erano molto meno entusiasti all’inizio di quanto non lo fossimo noi. Ma perch? tanta delusione? Pu? risultare sorprendente ma non per colpa dell’aumento dei prezzi. Questo ? stato percepito negativamente tanto da noi che nella maggior parte degli altri paesi. Le statistiche, poi, ci dicono che dopo i primi due anni in cui molti prezzi sono effettivamente aumentati si ? assistito a un’inversione di tendenza. I prezzi sono aumentati ma non per colpa dell’euro quanto, soprattutto, per colpa del petrolio. I prezzi, inoltre, sono aumentati in quei settori in cui minore ? la concorrenza e maggiore il potere dei venditori di scaricare sui cittadini consumatori veri o presunti aumenti di costo.

          Ma, mostra la indagine del Cer, gli italiani nel 2001 si aspettavano qualcosa di pi?. Si aspettavano, dall’Europa e dalla moneta unica, pi? crescita e pi? occupazione, come del resto era stato loro promesso. Nei cinque anni successivi l’economia non ? cresciuta per nulla e l’occupazione di poco. Il governo in carica in quegli anni ha dato colpa all’Europa della bassa crescita, all’euro dell’aumento dei prezzi e si ? preso il merito della maggiore occupazione.

          Queste cose vale la pena di ricordarle non per fare della inutile polemica retr? ma, per ricordare al governo in carica quanto sia importante assumersi le responsabilit?, nel bene e nel male, di quanto avviene nel paese. La crescita dipende solo in parte da quello che succede fuori dai confini, se ? vero che il nostro tasso di crescita rimane stabilmente al di sotto di quello europeo. L’aumento dei prezzi ha inciso soprattutto in termini di distribuzione del reddito, sfavorendo i settori che non sono protetti n? da posizioni di rendita n? da capacit? contrattuali particolarmente forti. La crescita dell’occupazione ha le sue radici nelle riforme introdotte dal primo governo Prodi e poi estese dalla legge Biagi. Questi fatto dicono che l’economia si pu? governare, con quelle riforme che oramai ? divenuto un rituale elencare. Vale la pena di parlarne perch?, a leggerli bene, i sondaggi sull’euro ci dicono soprattutto della disillusione degli italiani per la politica, per la incapacit? del governo, di qualunque governo, di “fare” (deliver direbbero gli inglesi). Ne ? prova un altro risultato interessante della ricerca del Cer. In un questionario per un campione di imprese meridionali alla domanda di cosa si vorrebbe da parte del governo per sostenere la capacit? competitiva la riposta non ?, sorprendentemente, n? la svalutazione n? l’innalzamento di barriere protezionistiche. Anzi, l’introduzione dell’euro viene vista come una grande opportunit? di accedere a nuovi mercati (soprattutto se si tiene conto che una moneta “forte” favorisce la strategia delle imprese che vogliano fare acquisizioni all’estero). Ci? che le imprese vorrebbero sono riduzioni credibili (grazie a una finanza pubblica pi? sana) del carico fiscale, pi? concorrenza nel mercato dell’energia che ne riduca il prezzo.

          I primi cinque anni dell’euro, probabilmente, vedranno un fiorire di eventi celebrativi. Non tutti saranno inutili se almeno in qualcuno di essi ci si chieder? in cosa l’Italia ha sbagliato e soprattutto cosa bisogna fare per recuperare il tempo perduto. Ma questo, in fondo, lo si da bene. Anche cosa succederebbe se la “fase due” rimarr? inattuata potrebbe essere oggetto di utile riflessione. ? francamente difficile dare credito a chi, di solito nella stampa anglosassone, costruisce scenari di “uscita dall’euro”. Lo scenario pi? verosimile ? paradossalmente pi? tragico: lo scivolamento nella rassegnazione e nella disillusione. Gli ultimi mesi hanno mostrato segni di ripresa dell’economia nelle cifre e nello stato di fiducia delle imprese. Possono essere indice di una inversione di tendenza rispetto ai cinque anni passati. Ma, naturalmente, richiedono una risposta politica all’altezza per potersi trasformare in una ripresa strutturale e duratura. Se questo non avverr? dovremmo rimpiangere i tempi della lira per una ragione del tutto diversa da quelle che usualmente si menzionano. A quei tempi le crisi finanziarie erano pi? frequenti, pi? violente, pi? visibili. E permettevano di mobilitare gli animi e prendere misure dolorose in nome dell’emergenza. Ci piacerebbe pensare che il paese sia diventato pi? maturo e non abbia pi? bisogno di crisi del genere per fare quanto necessario.

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