16/11/2005 ore: 12:37
«Addio corporazioni e l´Italia ripartirà»
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Pagina 37 - Economia ROMA - Rilanciare l´Italia, farla uscire dal tunnel in cui si è cacciata, andare «oltre il declino». E proprio «Oltre il declino» si intitola il volume, edito dal Mulino, presentato ieri nella sala della Stampa estera, curato da cinque economisti in ascesa: Tito Boeri, Riccardo Faini, Andrea Ichino, Giuseppe Pisauro e Carlo Scarpa. Quasi un progetto-paese, che prende avvio dall´analisi dei mali della Penisola e prepara le ricette per recuperare uno slancio del quale ancora non si scorgono né i segnali né i presupposti. «Vedo un paese stanco e senza grinta», ha esordito Carlo De Benedetti, che con la Fondazione Rodolfo Debenedetti ha sostenuto l´iniziativa che ha avuto avvio con il convegno tenuto a Palazzo Marini, a Roma, il 3 febbraio del 2005. Come rilanciarlo? Quattro i pilastri analizzati in dettaglio nel volume collettivo: specializzazione produttiva, liberalizzazione, ricerca universitaria e riforma della finanza pubblica. Quattro temi «caldi» e sui quali, come ha fatto capire De Benedetti, le decisioni ormai «sono rimandate alla prossima legislatura». Quello delle liberalizzazioni appare un tema chiave. In uno dei passaggi del libro si racconta che la Consumers´ Association britannica organizza acquisti collettivi all´estero di autovetture con il risultato di trascinare in basso i prezzi nel Regno Unito. La sublimazione del mercato. E da noi? «La mia impressione, come quella di molti altri imprenditori - ha detto Carlo De Benedetti -, è in effetti quella che gli ultimi tentativi di riforma e liberalizzazione in Italia abbiano avuto scarsa incisività». L´elenco dei punti dolenti lo fa senza mezzi termini Giuliano Amato: «Oggi un impiegato o un professore che guadagnavano 2 milioni e mezzo di lire al mese possono contare su circa 1.300 euro, con le liberalizzazioni bisogna ridare fiato alla loro capacità di acquisto». Per l´ex presidente del Consiglio e dell´Antitrust i settori sui quali bisogna ancora intervenire sono molti: il gas («Chi si oppone ai rigassificatori che consentono di aumentare la concorrenza?», si chiede ), il commercio («La maggiore produttività degli Usa è in parte dovuta all´efficienza della rete distributiva»), ma anche il mercato elettrico che sembra lontano da una forma di efficace concorrenza. Il presidente della Confindustria, Luca di Montezemolo mette sul piatto un´ammissione importante: «Tra gli errori compiuti in passato dalla Fiat c´è stato quello di non aver voluto una grande concorrenza nel settore». L´altra questione che impone la propria presenza nel dibattito è quella dell´Università. «Dobbiamo uscire dal circolo vizioso in cui non si innova e, di conseguenza, si investe poco in capitale umano», lamenta De Benedetti che racconta la paradossale situazione della facoltà di ingegneria di Pavia dove ci sono solo quattro iscritti. Qualcosa va assolutamente cambiato, osserva Amato che riferisce di un suo recente incontro con un gruppo di imprenditori: «Parlavano del laureato come una figura aliena, un tipo che ha una formazione che non serve nelle loro imprese: vuol dire proprio che bisogna cambiare qualcosa!». Nemmeno il presidente della Conferenza dei rettori Piero Tosi difende l´Università: «E´ una delle cause del declino». Che fare? «Ho parlato con molti economisti ma le loro ricette per rilanciare il Paese hanno tutte effetti solo nel medio periodo, quello che possiamo fare subito è migliorare le aspettative imboccando la strada giusta», spiega Amato guardando alla prossima legislatura. Montezemolo chiede intanto la stabilità politica per la prossima legislatura, lamenta la mancanza di «investimenti pubblici e privati», chiede più mercato nelle banche e nelle professioni, nuovi ammortizzatori sociali per i settori maturi. «Bisogna modernizzare il paese - dice -, siamo di fronte ad una nuova "ricostruzione", fortunatamente diversa da quella del dopoguerra, ma causata dalle troppe omissioni, dalle troppe poche scelte fatte in funzione dello sviluppo. Ci sono troppe complicazioni nelle scelte che ne allungano a dismisura il "time to market", poca meritocrazia, poco mercato», conclude. |