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"100anni" Milano, primo ottobre 1906: sorge l’alba di una grande speranza
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Pagina 8 - Economia/Oggi Milano, primo ottobre 1906: sorge l’alba di una grande speranza STORIA Perch? Milano, ci si pu? chiedere. Qualche anno pi? tardi, nel 1920, Antonio Gramsci avrebbe dato la risposta semplice e giusta (in un articolo sull’Ordine nuovo): ?Da Milano partono le migliaia e milioni di fili che si diramano per tutto il territorio nazionale e soggiogano il lavoro degli operai e dei contadini alle casseforti?. Milano che banche, Milano che cambi, avrebbe cantato molto pi? tardi Lucio Dalla, cogliendo la resistente centralit? economico-finanziaria della capitale morale, economia e finanza dalle quali tutto dipende. I fili che si dipartono e che aggiogano. ?Milano ? diventata ormai il centro propulsore della vita economica nazionale: lo dimostrano, se vi fosse bisogno di dati positivi, l'attivit? della sua Borsa, che ormai detta legge per tutte o quasi tutte le quotazioni dei titoli pubblici e privati; il movimento della sua stanza di compensazione che raggiunge nel 1913 i 25 miliardi di lire di somme compensate sopra un totale di 68 miliardi nel Regno e il numero e l'importanza delle societ? anonime, bancarie, industriali, di trasporto e di commercio, che hanno la loro sede nella capitale lombarda con un capitale complessivo di 1699 milioni di lire, che rappresenta pi? della met? del capiotale azionario del Regno?. Non fosse per i numeri, non fosse per il Regno, sembrerebbe un resoconto d'oggi e appena di ieri, prima della ?grande crisi? che sta oscurando questa citt?. L'elogio di Milano fu scritto invece nel 1913 da Gino Luzzatto, analizzando gli sviluppi dell’economia lombarda a partire dal 1898. Un quindicennio d'oro, troncato dall'entrata in guerra. Iniziato il 6 e 7 maggio di quell'anno di fine secolo, con i morti di Bava Beccaris e le barricate nelle vie. Tanti morti, che dicevano non solo della brutalit? della repressione, ma soprattutto quanto quel ?progresso? pesasse su una moltitudine di operai e contadini, i primi immigrati a sperimentare la durezza del lavoro e della vita nella citt? ?centro propulsore?, nella citt? del Ballo Excelsior e dell'esposizione universale (si torna al 1881), una citt? senza case per i lavoratori, senza mense per gli operai, talvolta senza pane. E senza lavoro: i padroni consideravano un operaio di quarant'anni ormai finito. Licenziamento per anzianit?: non restavano che occupazioni saltuarie ai margini o l'accatonaggio. Paesaggio da prima rivoluzione industriale. Sembra d'entrare in un caseggiato dell'East End londinese, quello descritto da Jack London nel ?Popolo degli abissi?, tra i primi irripetibili capolavori di reportage sociale. O da Engels nella memorabile ?Questioni delle abitazioni?. Milano, ?un centro di grande attrazione ma anche di grande repulsione?, come si leggeva in una indagine della Societ? Umanitaria. Ma la scena di case fatiscenti e sovraffollate (come sempre per gli ultimi arrivati) si anima. I contrasti, fabbisogni primordiali, ricchezza, necessit? di pace sociale, muovono le idee e allargano gli orizzonti, consegnando a Milano un altro primato (o soltanto un mito), quello d'essere il ?laboratorio politico?, il campo di sperimentazione di alleanze che si voleva anticipassero i tempi. Solo un anno dopo Bava Beccaris, nel 1899, la sinistra vinse le elezioni amministrative, mettendo in campo uno schieramento che andava dalla Camera di commercio alla Camera del lavoro, contro il mondo della rendita fondiaria, contro la cosiddetta ?Consorteria? liberal democratica: allora, meglio di oggi, la citt? del lavoro contro quella delle speculazioni. Milano aveva largamente premiato la speculazione, secondo uno spirito che non avrebbe mai tradito: nel ventennio tra i due secoli andava in onda sul territorio cittadino il piano regolatore dell'ingegner Giovanni Beruto, che di sventramento in sventramento, di piccolo lotto in piccolo lotto, miniaturizzando il grande disegno parigino del barone Haussmann, concedeva ai proprietari delle aree i pi? redditizi investimenti. La nuova giunta del sindaco Mussi, figura di vertice del Circolo per gli interessi industriali, si convoc? per la prima riunione il 29 gennaio 1900 alle ore 21: inaugur? il secolo e l'abitudine delle sedute notturne (perch? i consiglieri non dovessero abbandonare prima del tempo il lavoro). Gaetano Salvemini segnal? nella societ? dei ?produttori? un salto nella modernit?, una rivoluzione, anche se l'entusiasmo lo trad?. Scrisse: ?Le lotte amministrative milanesi non sono se non episodi o meglio i prodromi delle lotte politiche italiane. Domani l'Italia penser? quello che pensa oggi Milano, ma oggi non lo pensa ancora, o meglio non lo pensa con la stessa limpidezza e chiarezza con cui pensa Milano?. Salvemini non poteva prevedere dissensi, non seppe prevedere la rottura. Ma intu? una sorta d'egemonia milanese, che si sarebbe manifestata attraverso ben altri cammini di stagioni ben diverse, meno entusiasmanti: il centrosinistra sotto la Madonnina che diventa nazionale, il berlusconismo meneghino che s'allarga sulle rive del Tevere. Nel 1904 si torn? al centro: il fronte radical-liberale fu sconfitto e al governo cittadino s'impose l'unione liberal-cattolica, sindaco Ettore Ponti, industriale di spicco. Le ?classi industriali? avevano preso congedo le une dalle altre, ma quel 1899 aveva lasciato il segno: imprenditori e lavoratori avevano conquistato il palcoscenico, non l'avrebbero pi? lasciato. Un palcoscenico nazionale. La Lombardia e Milano erano diventate la regione e la citt? di pi? saldo radicamento del movimento operaio e socialista in Italia, stavano assistendo in quegli anni alla crescita organizzativa delle associazioni cattoliche, mentre, all'altro polo del conflitto di classe, crescevano di forza e di identit? e di strategia le associazioni imprenditoriali, alle prese con una classe operaia che nel bene e nel male e anche nella politica aveva sperimentato su di s? il senso di una epocale trasformazione industriale, nella dimensione dell’impresa, nell'organizzazione del lavoro, nella stessa materiale constatazione della propria forza, almeno quella dettata dai numeri. Sono i numeri dello sviluppo del Paese e della sua trasformazione: all'inizio del secolo il prodotto lordo privato nazionale era dato per il venti per cento dall'industria e per il cinquantuno dall'agricoltura, otto anni dopo s'era gi? arrivati al ventisei per cento dall'industria contro il quarantatr? dell'agricoltura. Milano avanti a tutti: sono gli anni della Carlo Erba e dell'Elvetica, della Om, della Tecnomasio Brown Boveri, ? l'anno, il 1906, dell'Alfa Romeo e della Breda, della Marelli, della Falk e della Pirelli che vanno a disegnare, ben al di l? di qualsiasi previsione di piano, l'espansione a nord di Milano, lungo l'asse di Sesto San Giovanni. Dalla Stalingrado d'Italia indietro fino a Bicocca: adesso l'asse della deindustrializzazione, frammentato tra centri commerciali, cinema, universit?, residenza e quel teatro degli Arcimboldi, che evoca nel nome un'antica famiglia e una palazzina di caccia. Trovarono questa citt? quei pionieri sindacalisti delle Camere del lavoro, delle Federazioni operaie di categoria, delle leghe bracciantili, quando fondarono tra il 29 settembre e il 1 ottobre 1906 la Confederazione generale del lavoro, Cgdl, segretario Rinaldo Rigola. duecentocinquantamila iscritti. Due anni pi? tardi, sarebbero diventati, al congresso di Modena, trecentomila. S'and? avanti in un secolo di lotte, anche di divisioni, di lacerazioni, di ritorni. Di contratti e di scioperi per il contratto. In quello stesso anno, 1906, la Fiom di Torino, firm? con una industria di automobili, il primo contratto collettivo di lavoro. |