19/9/2005 ore: 11:55
"100anni" La capacità di trasformarsi (L.Gallino)
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Pagina 41 - La Domenica di Repubblica L´art. 1 dello statuto della Confederazione Generale del Lavoro (Cgdl), costituita il 1° ottobre 1906 a Milano, asseriva che il suo scopo era «organizzare e disciplinare la lotta della classe lavoratrice contro il regime capitalistico della produzione e del lavoro». Per contro l´art. 1 dello statuto attuale della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, nata nel giugno 1944 come ricostituzione della Cgdl, mette in primo piano «i valori delle libertà personali, civili, economiche, sociali e politiche della giustizia sociale quali presupposti fondanti e fini irrinunciabili di una società democratica». Parrebbe davvero esserci, tra le due formulazioni, una diversità di finalità e di pratiche larga quanto un secolo. La misura della diversità, tuttavia, dipende non poco da quelle che nei due articoli statutari si ritengono come parole chiave, e dalla parte sociale che compie tale operazione selettiva. Ciò che preoccupava gli industriali e i politici moderati del 1906 era ovviamente l´idea della lotta di classe, che stando al fresco statuto della Cgdl appariva trasfusa dai libri e dai manifesti congressuali del movimento socialdemocratico nel documento fondativo d´una associazione sindacale nazionale. Avrebbero dovuto attendere quasi vent´anni, sino al patto di Palazzo Vidoni del 1925, che sanciva il mutuo riconoscimento della Confindustria e dei sindacati fascisti, e alla fondazione del sindacato unico del regime nell´aprile 1926, con relativo scioglimento della Cgdl, per vedere svanire tale ombra. Almeno dai documenti ufficiali. D´altronde per una parte significativa del movimento sindacale le preoccupazioni venivano da altri termini dell´art. 1, e precisamente da «organizzare e disciplinare». Essi sembravano tradire intenti verticistici, autoritari, una concessione alla politica politicante, come fu detto già allora. Dopotutto la Cgdl era nata da un Congresso della Resistenza, il quarto, cui avevano aderito una miriade di leghe e associazioni che mal sopportavano di vedere stemperati i loro umori antipadronali. Da tale dissenso nacque, appena un anno dopo, un Comitato Nazionale della Resistenza, le cui delibere prevedevano «un´azione comune di lotta incessante all´odierno ordinamento capitalistico con tutti quei mezzi - nessuno escluso - che la pratica sindacale ha indicati come efficaci per indebolire ed eliminare la classe e lo stato borghese». Dall´attività di questo comitato trasse origine nel 1912 l´Unione Sindacale Italiana (USI), collocantesi a sinistra della Cgdl. Sarebbe stata costretta anch´essa a cessare l´attività poco dopo l´ascesa del fascismo, verso la fine del 1922. Anche l´articolo 1 che nello statuto attuale definisce l´essenza stessa della Cgil è assoggettabile a diverse accentuazioni delle sue componenti. Da sinistra le finalità che descrive appaiono sbiadite, soprattutto perché non menzionano perentoriamente l´opposizione al modello dominante di organizzazione del lavoro. Da destra è invece guardato con sospetto il nucleo centrale dell´articolo, quella "giustizia sociale" che nella prospettiva neocon appare retrò, secondo una battuta ricorrente dalle parti del ministero del Lavoro. In tale prospettiva le libertà personali, civili, economiche e altre vanno assicurate per mezzo del mercato, non dell´azione sindacale. Né si può nascondere che una diversità di accenti si ritrova negli organi direttivi della Cgil, a cominciare dalla segreteria, dove accanto ad esponenti vicini allo spirito radicale delle origini ve ne sono altri che sembrano animati da una versione ingentilita dello spirito neo-liberale. Ma alla fine quella che poi conta è la pratica, e in un grande sindacato come la Cgil questa discende dall´attività quotidiana di decine di camere del lavoro che han radici nel territorio, e da centinaia di federazioni che rappresentano categorie, settori del privato e del pubblico impiego. È in questa attività che prende forma e sostanza l´idea di giustizia sociale. Perché essa è negata dove si lascia predominare lo scambio ineguale, la diversità di potere tra il singolo lavoratore e l´organizzazione produttiva. La principale funzione d´un sindacato consiste, mediante l´associazione dei più deboli, nel cercare di rendere un po´ meno diseguale lo scambio, un po´ meno enorme la diversità di potere tra di essi ed i più forti. Per cento anni, tolti quelli di cui la privò il fascismo, la Cgil ha svolto con tenacia, con successi inevitabilmente alterni, adattandosi molto più di quanto a volte non sembri ai mutamenti dell´economia e della società. Da questo punto di vista, i suoi principi di oggi non sono dissimili da quelli soggiacenti al primo statuto del 1906. |