15/4/2022 ore: 15:56

Tra due mondi, il film sul calvario delle lavoratrici delle pulizie

Emmanuel Carrère porta al cinema il libro inchiesta di Florence Aubenas, con protagonista Juliette Binoche. L'inferno delle donne nei traghetti sulla Manica e il problema di come raccontarle – di Emanuele Di Nicola

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“Le pulizie sono la mia passione“, dice Marianne interpretata da Juliette Binoche. Ma passione, in senso religioso, significa anche ”calvario”. È una signora di mezza età lasciata dal marito, che deve reinventarsi e trova un lavoro come addetta delle pulizie. Siamo in Francia a Ouistreham, sui ferryboat, ovvero i grandi traghetti che di giorno attraversano la Manica. Di notte invece scendono i “signori” e salgono sulle navi i membri del sottoproletariato urbano, i deboli e i fragili, soprattutto donne, coloro che lavorano nelle pulizie. Lo fanno al buio, anche simbolicamente, nell’oscurità: devono finire prima delle luci dell’alba, quando transitano nuovi viaggiatori che vogliono trovare tutto pulito, dopo aver lasciato particolarmente sporco. Ma in realtà Marianne non è quello che dice: fa la giornalista e sta scrivendo un libro sulle lavoratrici dei ferryboat, si è mescolata tra loro per capire davvero le condizioni nell’unico modo possibile, attraverso l’esperienza diretta. C’è questo dispositivo al centro di Tra due mondi, il film di Emmanuel Carrère attualmente nelle sale italiane (titolo originale: Ouistreham, appunto) dopo il passaggio al Festival di Cannes. Film basato sull’omonimo libro inchiesta di Florence Aubenas, in italiano La scatola rossa (edizioni Piemme). E portato sullo schermo da un altro scrittore, uno dei maggiori del nostro tempo, il fondatore della non-fiction di oggi, ossia dei racconti che vedono dentro la presenza del narratore come personaggio: ecco spiegata la scelta di questo progetto, in cui la scrittrice Aubenas portandosi sui traghetti esegue un gesto “carreriano”.

Il film registra le condizioni di lavoro nell’inferno dei ferryboat: donne pagate 7,49 euro l’ora, costrette a rifare una cabina in 4 minuti per un totale di 250 cabine, oltre a pulire i servizi igienici spesso in stato disastroso, che riportano gravi conseguenze fisiche come mal di schiena e dolore alle braccia. E sono senza diritti: contratti rigorosamente a tempo determinato, possibilità di licenziamento in qualsiasi momento, di solito quando sono troppo lente o troppo anziane. Il posto fisso è una chimera. Marianne, come detto, si finge una di loro e lavora davvero per qualche mese sui traghetti: mette le mani negli escrementi, rifà letti a velocità supersonica, arriva a fine giornata esausta. Fa amicizia con le colleghe, perché nel mondo dello sfruttamento, come insegna Ken Loach, c’è spazio per la solidarietà tra gli ultimi: le lavoratrici diventano molto legate, escono insieme la sera, rigorosamente guardando alle tasche perché possono spendere pochi euro, festeggiano compleanni, si dimostrano unite. Anche per questo la scoperta casuale della vera identità di Marianne porterà scompiglio tra loro: alcune la “perdonano”, la capiscono, intuiscono l’importanza del libro, altre la allontanano a muso duro.

È qui che il film pone la sua questione più amara e dolorosa, forse perfino oltre le condizioni vergognose: come raccontare questa realtà? È etico mascherarsi da lavoratrice povera, fingersi una di loro? “Dicci quanto guadagni”, intima a Marianne la sua migliore amica, e lei non risponde. Il racconto marca visivamente il contrasto nel momento della presentazione del libro, quando Marianne torna ad essere Juliette Binoche, elegante e regale, nel suo vestito da sera a confronto con le tute da lavoro arancioni delle donne-operaie. E si svela il senso di scegliere come protagonista una diva del cinema francese: Binoche è sempre Binoche, punto e basta. Non potrà mai essere una lavoratrice delle pulizie. Carrère gira il dito nella piaga del contemporaneo, nell’epoca dello storytelling, tirando il nodo fondamentale di come raccontare i più deboli. Intendiamoci: il libro ha svolto la sua fondamentale funzione di denuncia, portando le stesse aziende di ferryboat a interrogarsi sulle condizioni di lavoro, e responsabilizzando i viaggiatori a lasciare le navi in stato decente per rispetto delle donne. Allo stesso tempo però, sembra dire il film, quando denunciamo lo sfruttamento lo facciamo sempre dalla nostra condizione privilegiata. Un messaggio per molti, comprese le sinistre da salotto in ogni parte del mondo.