8/4/2022 ore: 16:17

Pineider, una grande storia in smantellamento

Rovagnati non sta solo licenziando, ma decretando la fine di una illustre produzione fiorentina

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Un assurdo spreco. È a questo che si pensa scorrendo gli ultimi anni di vita di Pineider, storica azienda fiorentina di articoli in carta, espressione di una tradizione artigiana che sconfina nell’arte.

Dalla prima bottega aperta a Firenze nel 1774, la storia di Pineider è stata un crescendo che l’ha portata ad occupare un posto di rilievo nel settore: un punto di riferimento di stile, una classicità senza tempo.

Ma il tempo è precipitato con l’arrivo del gruppo Rovagnati, che sei anni fa ha rilevato l’azienda, portandola con inesorabile costanza al suo snaturamento e a perdite sempre più profonde. L’ultimo capitolo sono gli esuberi dichiarati dalla proprietà, che non solo toglieranno a dei lavoratori il loro impiego, ma priveranno la produzione dei capisaldi essenziali alla sua esistenza, almeno come è stata conosciuta sinora.

“Quando è arrivata, la nuova proprietà ha trovato un’azienda non proprio in crisi, ma in difficoltà – racconta Stefano Nidiaci, delegato Filcams Cgil – e si è presentata come la salvatrice del marchio, che sarebbe stato riportato all’antico splendore”. Il che significava non alterare l’anima della produzione, mantenendo incisoria e stampa al cuore dell’azienda.

“Ma noi ci siamo accorti molto presto che non era affatto così – continua Nidiaci – perché non è stato fatto alcun investimento in questo senso e l’attenzione è stata spostata sulla produzione degli articoli di pelletteria, fino ad allora una minima parte dell’offerta Pineider”.

È così che Rovagnati comincia a produrre borse di alta fascia, articoli da migliaia di euro, che nessuno compra. “Era chiaro che sarebbe stato un progetto fallimentare, come maestranze li abbiamo avvertiti in tutti i modi e ora che la situazione è diventata insostenibile vogliono far pagare i loro errori a noi, è molto semplice”.

È stato chiaro che l’azienda aveva intenzione di dismettere la stamperia, il centro pulsante di Pineider, quando uno dei due stampatori era ormai prossimo alla pensione e sarebbe stato necessario introdurne uno nuovo in tempo utile per apprendere il mestiere dal maestro uscente. “Abbiamo cercato di spiegargli che non si trattava di una figura sostituibile in un paio di mesi, ci voleva del tempo per imparare, ma hanno tergiversato e alla fine non hanno fatto niente”.

Quando il collega è andato in pensione, dopo una vita di lavoro nello stabilimento di Bagno a Ripoli, racconta Stefano con amarezza, nessuno si è congedato da lui, tranne i suoi colleghi. “Questa è la considerazione che la proprietà ha per gli artigiani”.

A luglio 2021 iniziano a girare le voci degli esuberi, ancora vaghe e imprecise, finché a settembre ne vengono annunciati 15 su un totale di 34 dipendenti. “Hanno detto che gli esuberi sarebbero stati orizzontali – spiega Stefano – e che nessun reparto sarebbe stato dismesso del tutto, ma tutti ridotti egualmente all’osso, per compensare le spese”. 

Cominciano poi le pressioni sui lavoratori, per propiziare delle uscite spontanee. “Hanno chiesto addirittura a noi, alla Filcams, di individuare dipendenti disposti ad andare in pensione prima, come se fosse compito del sindacato sfoltire il personale”. Ma quando sono emerse due figure possibili si sono rifiutati di prendere in considerazione piani pensionistici alternativi: dovevano semplicemente andarsene, arrivederci e grazie.

I rapporti con l’azienda si incrinano, anche dopo le minacce di ritorsioni qualora i dipendenti si fossero rivolti alla stampa. “Ma noi a quel punto sui giornali ci siamo andati, abbiamo scioperato, chiuso lo stabilimento e il negozio di Firenze”, e la risposta non si è fatta attendere. Gli esuberi da 15 sono diventati nove, ma non più orizzontali: sono andati a colpire stampa e logistica, pronte così per una completa esternalizzazione, e allo stesso tempo a falcidiare la rappresentanza sindacale che si era adoperata nell’organizzazione delle proteste e nella diffusione delle notizie.

Tra loro c’è anche Stefano, l’unico incisore di Pineider: si trova nelle sue mani, come in quelle degli stampatori, la sopravvivenza del marchio e della tradizione.

“Quello che sta succedendo è gravissimo – dice Chiara Liberati, Filcams Cgil Firenze – Rovagnati rinuncia a professionalità ormai introvabili, per esternalizzare la stampa a rilievo non si sa a chi, e questo vuol dire che verrà mantenuta una sorta di cartoleria Pineider, ma di bassa qualità”.

Continuano invece a puntare sulle borse e, in un corto circuito chiarificatore, nell’ultimo numero di MFF, Milano Fashion Finanza, la promozione degli articoli in pelle di Rovagnati è uscita insieme alla notizia dei nove esuberi e delle loro ragioni.

“Abbiamo contattato subito l’unità di crisi regionale – spiega Chiara Liberati – e oggi, 8 aprile, c’è stato il secondo incontro, al quale hanno partecipato la Regione Toscana, il Comune di Firenze e la Città Metropolitana, il sindaco di Bagno a Ripoli e l’azienda, che continua a sostenere di investire nella produzione, nonostante l’evidenza degli esuberi”.

Ma il tavolo è ancora aperto e procede la fase sindacale della trattativa. “Lunedì ci sarà l’incontro in Confindustria e poi con Arti, per capire se ci sono strumenti alternativi ai licenziamenti, anche se l’azienda non si è mostrata affatto disponibile a soluzioni diverse. Hanno fretta di chiudere, senza concedere niente”.

La loro posizione è chiara, inequivocabile, e si esprime anche attraverso incuria e scarso rispetto. “Nella parte dello stabilimento occupata dalla produzione della carta non mandano più nemmeno gli addetti alle pulizie”, racconta Liberati. 

“E sulla procedura di mobilità – spiega – c’è scritto che questo è solo l’inizio, perché a dicembre ci sarà un secondo step. A questo punto speriamo nell’intervento della politica: finora c’è stata una grande mobilitazione, Pineider è stato un patrimonio fiorentino, e le istituzioni si sono mostrate disponibili. Noi vogliano che questi licenziamenti vengano ritirati e che sia fatta chiarezza sul futuro dell’azienda”.

Secondo Rovagnati carta e biglietti ormai sono fuori moda, la gente non scrive più. “Ma in realtà io e Bruno, lo stampatore – racconta Stefano – non riusciamo a stare dietro agli ordini, quello della carta è l’unico settore che continua ad essere richiesto nei negozi. L’azienda nega che sia così, preferiscono dichiarare che stia andando male tutto, non solo la pelletteria, ma noi sappiamo che la stamperia è richiesta e se ci avessero investito lo sarebbe ancora di più”.