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5/11/2021 ore: 15:34

La nuova geografia della grande distribuzione

Le maggiori insegne del food disinvestono sulla gestione diretta della rete vendita e questo peggiora le condizioni di lavoro di tutto il settore

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C’è un filo rosso che collega la vertenza Carrefour a quella di Auchan, ma anche alle cessioni che hanno visto recentemente protagonista Coop nel sud del paese: i marchi della grande distribuzione cambiano pelle, si discostano dal profilo succursalista con il quale avevano gestito la loro attività, per convertirsi in grandi centrali di acquisto, sempre meno responsabili e sempre più distaccate da quanto avviene nei luoghi di lavoro.

Luca Pellegrini, presidente di TradeLab, lo spiega così. “Ci si aspettava che la grande distribuzione si concentrasse anche in Italia come è avvenuto in altri paesi, ma dietro questa apparente concentrazione troviamo imprese con un grado di indipendenza molto forte e osservando bene la gestione della rete vendita e della logistica, quella che emerge è una realtà frammentata pluri provinciale e regionale, ma non molto di più”.
Esempio eloquente della frammentazione territoriale che caratterizza il settore in Italia è quello di Esselunga, la più grande società di distribuzione nazionale, che conta due forti nuclei in Lombardia e in Toscana e presenze più marginali in Liguria, Piemonte, Veneto e Lazio, “ma che di fatto è un impresa lombardo-toscana” puntualizza Pellegrini. L’indipendenza è la bandiera operativa di “una quarantina di gruppi che condividono una forte presa territoriale - come nel caso delle imprese legate a Selex - il loro grande punto di vantaggio, che gli ha permesso di avere la meglio su chi mirava ad assestarsi su una rete nazionale, come Auchan e Carrefour”. 

“Le grandi imprese succursaliste, che sono poi le insegne dei grandi ipermercati, combinano strutture imponenti e pesanti a una scarsa presa sul territorio – spiega Alessio Di Labio, segretario nazionale Filcams Cgil – dove hanno fatto enormi investimenti immobiliari su grandi superfici. Questa è la morsa nella quale sono rimaste schiacciate”.
La Filcams aveva puntato l’attenzione sulla crisi dei grandi ipermercati da anni ma per lungo tempo, nota Di Labio, i marchi di punta hanno continuato ad aprirne di enormi, senza ascoltare i segnali del mercato.
“I francesi, in particolare Auchan, erano convinti che il loro fosse il format vincente, il padrone del mercato, e che bastasse solo aggiustare il tiro - aggiunge il professor Pellegrini – Carrefour è stata la prima insegna ad accettare che l’ipermercato fosse ormai qualcosa di superato, almeno nei paesi più ricchi, ma Auchan ha continuato a credere a lungo di riuscire a ridefinire quella formula”.

Il panorama di divisione territoriale appare ancora più netto volgendo lo sguardo a sud, dove le grandi imprese si sono progressivamente ritirate dalla gestione diretta puntando sul franchising e soprattutto sul master franchising come nel caso di Coop.
“Abbandonare il sud significa abbandonare un’idea di succursalismo nazionale nell’area dove le differenze sono più forti e radicali, prendendo atto di non riuscire a tenere insieme un sistema che abbia la dimensione dell’intero paese – spiega Pellegrini – e il master franchising permette di tagliare, velocemente, in un’unica soluzione, senza dover cercare uno ad uno i possibili franchisee, in territori dove è più difficile valutare i singoli imprenditori”.
“Questo è il punto particolarmente critico del modello Conad, che nella grande distribuzione ha guadagnato la leadership del mercato, combinando i vantaggi della grande azienda succursalista e quelli della piccola imprenditoria – aggiunge Di Labio - ma che non si prende alcuna responsabilità sulle lavoratrici e i lavoratori, come ha dimostrato nella vertenza Auchan. Questo è il senso della nostra vertenza, riuscire a riportare i grandi marchi a una responsabilità sociale che possa eguagliare quella che propagandano e rivolgono al consumatore. La frammentazione del settore sta trascinando verso il basso le condizioni di lavoro, con il mancato rispetto delle relazioni sindacali e delle norme contrattuali fino all’applicazione dei contratti pirata”.
“Il vantaggio di marchi come Conad è avere una flessibilità che gli permette di adattarsi a qualsiasi situazione – gli fa eco Pellegrini - mentre le grandi imprese centralizzate si scontrano con una diversificazione territoriale che si esprime anche in termini di concorrenza e di costo del lavoro”.

“La priorità per noi – spiega Di Labio – è riuscire a creare una contrattazione triangolare tra organizzazioni sindacali, azienda che cede il marchio e imprenditore che gestisce la rete vendita. Dobbiamo creare dei vincoli che garantiscano il rispetto della contrattazione nazionale, delle relazioni sindacali e delle condizioni di lavoro, sia sull’organizzazione del lavoro che sulla prevenzione e sicurezza. Su questa linea la Filcams ha contrattato nella cessione della rete vendita siciliana di Coop.”
I grandi, quindi, si ritirano e il terreno si divide in zone di influenza che si spingono poco oltre le roccaforti dove le aziende si sono insediate e sono cresciute. Questo è il nuovo paesaggio che si sta delineando.

“Coop se ne va dal sud perché in quel territorio era uno straniero, al pari di Auchan e Carrefour in Italia” conclude Pellegrini. “L’idea di fondo era che proprio chi veniva da fuori, da un mondo più moderno, avrebbe conquistato i mercati un po’ più arretrati: ma non è avvenuto affatto, perché quei mercati sono rimasti fortemente connotati e chi veniva da fuori non è stato in grado di interpretarli e di aderire alla loro realtà”.
“Le grandi imprese di distribuzione si sono scomposte e riaggregate su base territoriale concentrandosi nelle aree economicamente più forti, lasciando alla loro condizione e impoverendo ulteriormente quelle più povere - spiega Maurizio Calà, Coordinatore nazionale Cgil dei settori del terziario e servizi – ovvero si sono collocate verso il nord del paese, abbandonando le aree del sud”.
“Dalla Sicilia non è andata via solo la Coop, anche Carrefour e altri grandi gruppi - aggiunge Calà – così si fa il tentativo, spesso debole, di ricomporre una presenza del terziario a livello molto locale, spesso non qualificata. E dietro questa scarsa qualificazione ci sono ovviamente evasione, lavoro nero e grigio, elementi che si scaricano da un lato sull’utenza e dall’altro sui lavoratori.”