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Relazione F. Martini Comitato Direttivo FILCAMS CGIL, 10-11/12/2013

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La proposta della segreteria nazionale, d’intesa con la segreteria confederale, è di svolgere il XIV Congresso Nazionale della Filcams nei giorni 9-10-11 aprile, nella località di Riccione.
A conclusione di questa sessione, il Comitato Direttivo approverà la delibera per la convocazione formale del congresso e con essa i criteri di composizione quantitativa della platea congressuale, e qualitativa, in rappresentanza delle soggettività presenti nella nostra organizzazione, dei suoi pluralismi e delle differenze, innanzitutto quella di genere.
Al congresso nazionale di categoria si arriverà attraverso un percorso che il regolamento congressuale ha già definito nelle sue tappe e che vedrà tutte le nostre strutture impegnate allo svolgimento delle assemblee di base dal 7 gennaio al 21 febbraio ed i congressi delle categorie provinciali e regionali entro il 15 marzo. Ma siccome entro questo termine dovranno tenersi anche i congressi delle CdLT e CdLM, i tempi sono più stretti per noi.

Il congresso nazionale della Cgil, come è già ampiamente noto, si terrà sulla base di due documenti politici, il primo presentato dalla segreteria nazionale e sostenuto dall’ampia maggioranza del Direttivo Nazionale Cgil; l’altro, primo firmatario Giorgio Cremaschi. Per questa ragione è formalmente improprio parlare di congresso unitario, proprio per la presenza di due posizioni alternative fra loro.
Tuttavia, non sfugge a nessuno che la novità di rilievo questa volta è rappresentata dal fatto che il documento presentato dalla segreteria nazionale è sostenuto da una larga maggioranza che comprende non solo la precedente maggioranza congressuale, ma la stessa minoranza che si riconosceva ne La Cgil che vogliamo. Naturalmente, sarà poi il congresso nel suo svolgimento concreto a definire la misura effettiva di queste adesioni, sia all’uno, che all’altro documento, ma il significato politico della decisione assunta dal direttivo nazionale costituisce il vero fatto di novità politica rilevante, tanto dall’aver già definito il congresso, anche se impropriamente, un congresso unitario, sia perché il documento Cremaschi era stato annunciato “a prescindere”, cioè, prima ancora che iniziasse la discussione preparatoria, sia perché la decisione delle compagne e dei compagni de LCCV di sostenere un unico documento non era data per scontata ed è maturata strada facendo, fino alle ultime battute della discussione.
Naturalmente, ciò ha comportato che lo stesso documento della maggioranza del direttivo nazionale contiene emendamenti in parte aggiuntivi ed in parte alternativi, che registrano la complessità dell’operazione svolta e l’articolazione delle posizioni. Del resto, non avrebbe potuto che essere così, data anche la portata delle questioni affrontate nel documento ed il fatto che le posizioni espresse dalle aree programmatiche uscite dall’ultimo congresso, maggioranza, minoranza de LCCV (per non parlare della Rete 28 aprile) si sono confrontate anche aspramente fino ad oggi.
La prima domanda che potremmo porci è come sia potuto avvenire un tale miracolo, proprio sapendo che la criticità delle posizioni non aveva vissuto nel corso di questi anni e mesi un adeguato processo di maturazione verso una sintesi unitaria?
La mia opinione, l’opinione della nostra segreteria nazionale Filcams è che la drammaticità della crisi ha contribuito a far maturare l’idea e la convinzione nella larga parte del gruppo dirigente che presentarsi ancora una volta divisi alle lavoratrici ed i lavoratori, con tutto quello che a loro sta capitando in termini di condizione di vita e di prospettiva occupazionale, sarebbe stato esiziale per la Cgil. Di fronte alla necessità di portare risposte concrete ai drammi quotidiani, le nostre ulteriori e reiterate divisioni ci avrebbero fatti passare per matti, per gente completamente fuori dal mondo, le nostre stesse divisioni avrebbero potuto essere vissute come una forma di egoismo autoreferenziale. Credo che questa consapevolezza abbia pervaso trasversalmente molta parte del gruppo dirigente e possiamo solo dolerci del fatto che non tutto il gruppo dirigente abbia fatto questa scelta, tanto più che chi ha scelto di presentare un documento alternativo lo ha fatto pregiudizialmente, di fatto chiamandosi fuori dal tentativo di offrire un’immagine compatta della nostra organizzazione, senza con ciò farla apparire necessariamente monolitica.

In ogni caso, il risultato è di una certa rilevanza politica ed è compito di tutti noi evitare che il percorso congressuale smentisca questa scelta, facendo rientrare dalla finestra quello che si è tentato di lasciare fuori dalla porta. Il regolamento congressuale ha per questo previsto l’inammissibilità di emendamenti alternativi che si configurassero come una vera e propria azione alternativa complessiva, proprio per impegnare le varie articolazioni a confrontarsi dentro un corpo complessivamente condiviso, a partire dalla premessa al documento che è stato il primo prodotto del lavoro della commissione politica.
Per evitare di far rientrare dalla finestra una logica del confronto congressuale di tipo conflittuale, il che non avrebbe fatto molta differenza con quelli precedenti era indispensabile sganciare gli emendamenti dall’attribuzione dei delegati. L’aggancio della platea congressuale alla battaglia emendataria avrebbe di fatto riprodotto esperienze già vissute, che di confronto politico hanno avuto ben poco, mentre si sono ampiamente caratterizzate attraverso logiche di schieramento e di appartenenza.
Questa soluzione alla fine è stata resa possibile perché ad essa ha corrisposto una intesa non scritta, che di fatto impegna tutti i gruppi dirigenti a confermare nella sostanza la composizione delle platee e degli organismi di emanazione congressuale. Un patto politico ispirato dal grande senso di responsabilità, che dovremmo anche noi tentare di rispettare, evitando di alimentare inutili tensioni.

In sintesi, il ragionamento fatto è stato un po’ questo: evitiamo di fare del congresso una ennesima conta fra noi, la gente non ci capirebbe e farebbe bene a cacciarci fuori a pedate; portiamo nei luoghi di lavoro un ragionamento condiviso, anche articolato, ma concentrato su una piattaforma comprensibile, esigibile dal punto di vista dell’iniziativa futura della Cgil; facciamo un patto fra noi, per confermare le posizioni uscite dal precedente congresso ed evitiamo inutili regolamenti di conti.
La preparazione del documento congressuale approvato dal Direttivo Nazionale Cgil, nell’obiettivo di evitare l’ennesimo documento-mattone, è stata una palestra ove esercitare il massimo sforzo di sintesi, anche nella produzione degli emendamenti alternativi e aggiuntivi previsti dal regolamento. Le 36 cartelle finali, comprensive della premessa e delle azioni, forse non rappresentano fino in fondo il risultato sperato, tuttavia, rispetto alle precedenti esperienze bisogna ammettere che il gruppo dirigente nel suo insieme ha cercato di elaborare un documento che potesse rappresentare un elemento di discontinuità col passato.
Naturalmente l’aspetto più significativo è rappresentato dal livello di unità raggiunto e si tratterà di verificare, nel corso di svolgimento del congresso, se la coerenza premierà le intenzioni espresse nella fase di elaborazione del documento.
La Filcams, rinunciando alla tentazione di caratterizzare la propria categoria con una pioggia di emendamenti specifici, ha partecipato alla discussione sulla preparazione del documento congressuale con l’obiettivo di evitare che esso risultasse alla fine una sorta di vestito di arlecchino, cioè, la sommatoria di tanti contributi settoriali. La confederalità che deve alimentare l’iniziativa del sindacato, soprattutto in una crisi come quella che stiamo vivendo, non può essere sommatoria acritica delle peculiarità, ma profondo processo di contaminazione culturale e di assunzione reciproca di responsabilità generale.
Per questo la Filcams ha spinto per un documento che coniugasse in chiave generale le principali problematiche del terziario. Una problematica che può essere ricondotta ad alcune parole-chiave che definiscono un preciso tracciato di rotta dello stesso documento congressuale.

Sviluppo sostenibile – Riconversione eco-compatibile
La Filcams si riconosce nell’idea che la politica di sviluppo di cui il Paese necessita per uscire dalla crisi profonda che attraversa non è la riproposizione dei vecchi modelli economici e produttivi, ma richiede un grande sforzo di innovazione e di discontinuità col passato, nel segno della sostenibilità economica, sociale ed ambientale.
Lo sviluppo sostenibile costituisce la cifra culturale del progetto congressuale della Filcams. L’ultimo congresso si è svolto all’insegna di una parola d’ordine che sintetizza in modo efficace questo orientamento: lo sviluppo sostenibile del lavoro terziario. Già nel 2010 la riflessione della categoria faceva leva sulla consapevolezza che la crisi dei consumi, indotta e accentuata dalla più grande crisi degli ultimi decenni, avrebbe messo in discussione il modello dei consumi esistente. Ma l’insostenibilità non era solo di un modello dei consumi all’insegna del consumismo e dello spreco. A tale modello di consumo ha corrisposto un modello distributivo fondato sullo sviluppo delle grandi superficie distributive, che, a sua volta, impone un modello organizzativo del lavoro fondato su una diffusa precarietà.
Quattro anni di perdurante crisi hanno ulteriormente evidenziato i limiti strutturali di un terziario distributivo, che ha privilegiato la conservazione e la reiterazione di vecchie scelte, palesemente superate nelle politiche distributive condotte nello stesso contesto europeo.
Fin dall’inizio di questo nuovo percorso di elaborazione, la Filcams ha sempre respinto la contrapposizione tra terziario e manifatturiero. Le politiche del terziario non sono l’opposto di quelle industriali. Al contrario, la categoria ha sempre sostenuto impossibilità di prospettare un futuro del terziario nel segno dell’innovazione, senza una solida base industriale, altrettanto innovativa. Le due cose sono indissolubilmente legate, rappresentano le due facce della stessa medaglia, quella dello sviluppo competitivo del Paese. Vale per entrambi i settori la domanda Quale terziario? ed anche Quale industria manifatturiera? Questo assioma è stato plasticamente rappresentato in una vicenda di cui il sindacato si è occupato qualche anno fa, la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese. Il dibattito che ne segui vide la Filcams opporsi all’idea che al posto di una fabbrica di auto potesse insediarsi un ennesimo centro commerciale. L’Italia ha bisogno di fabbriche industriali ed al massimo si tratta di decidere quale manifatturiero oggi ed anche quale settore dell’auto, per rilanciare in modo competitivo l’industria italiana dell’auto. Ma è certo che il futuro competitivo dell’Italia non sta nel sostituire l’industria manifatturiera con altrettante strutture distributive, replicanti del modello di consumo che la crisi ha dimostrato essere inefficaci.
Il documento congressuale ha posto con chiarezza questo tema anche la dove denuncia il fallimento delle scelte operate sul terreno delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni di mercato. Nel caso del terziario distributivo l’esempio lampante viene proprio dalle ultime liberalizzazioni del Governo Monti, un fallimento completo, poiché ispirate ad un unico principio ideologico della grande distribuzione, smentito clamorosamente dagli andamenti concreti di mercato. Mettere in relazione il rilancio dei consumi, nel pieno della recessione, ad una liberalizzazione selvaggia degli orari commerciali e delle aperture di nuovi siti commerciali non poteva che precostituire il fallimento dell’operazione, poiché è noto, anche ai professori, che il consumo è una funzione del reddito e l’unica operazione utile per accrescere i consumi è innanzitutto una politica di difesa e crescita del reddito da lavoro e delle pensioni. Il risultato concreto delle liberalizzazioni è stato solo un peggioramento delle condizioni dei dipendenti, che si sono visti riversate sulle proprie spalle le conseguenze di questa scelta sbagliata. Era scontato che in piena crisi e per fronteggiare i nuovi costi delle aperture domenicali e festive le grandi aziende distributive non avrebbero potuto assumere nuovo personale.
Al tempo stesso, il documento evidenzia la pluralità delle scelte che potrebbero contribuire a indirizzare una crescita economica in grado di produrre nuova ricchezza, al pari di quanta ne possa produrre l’industria manifatturiera. Si tratta di tutti quei settori, oltre a quelli legati alla conoscenza ed alla formazione delle competenze, che intervengono sul più grande patrimonio di cui dispone il Paese, quello storico, culturale, ambientale e fra questi quello che per l’Italia potrebbe veramente fare la differenza con gli altri Paesi competitori, il turismo. Anche in questo caso occorre evitare la contrapposizione tra una visione “bucolica” delle politiche turistiche e culturali e quella più econometrica. La Germania, triplicando il proprio investimento nelle politiche culturali, in piena crisi, ha dimostrato di poter con ciò contribuire alla crescita del Pil. Il Governo Letta ha fatto una scelta utile in questo senso, unificando le competenze turistiche con quelle culturali. Occorrerebbe per questo essere conseguenti nelle scelte e nelle azioni, cosa che al momento è poco presente nella discussione sulla legge di stabilità ed il sindacato, a partire dalla Cgil, dovrebbe fare dell’iniziativa sulle politiche culturali e del turismo uno degli assi centrali della propria azione.

Le politiche dell’inclusione
Già nel 2006 il tema dell’inclusione fu posto al centro del congresso nazionale della Filcams. A otto anni di distanza questa è la vera linea che separa un sindacato in grado di rappresentare e superare le moderne disuguaglianze sociali ed uno arroccato sulla propria storia.
Il mercato del lavoro terziario è la fotografia più nitida della precarietà presente nel mercato del lavoro e più in generale nella società. Su questo terreno davvero la Cgil è chiamata a dare prova di confederalità, perché la lotta al precariato è per eccellenza terreno della confederalità. Potremmo dire che la Cgil deve essere una avanguardia nel rappresentare gli ultimi, in una realtà dove il posto degli ultimi ormai è sempre più sovraffollato.
Il documento congressuale affronta alcuni nodi che parlano direttamente del mondo Filcams. Due esempi su tutti: il sistema previdenziale ed il tema degli ammortizzatori. In un contesto dove appare irreversibile il processo di riforma avviato nel 1995, è altrettanto evidente che gli interventi che si sono succeduti negli anni sono stati tutti ispirati all’esigenza di fare cassa e non a quello di rendere equamente accessibile il diritto alla pensione. L’ultima “riforma” del Ministro Fornero ha rappresentato una sorta di colpo di grazia per alcune realtà, molto rappresentate nel settore terziario. In particolare, la condizione delle donne, che da questa ultima riforma, combinata con le altre intervenute sul lavoro, rischia di determinare una nuova generazione di future pensionate che si collocheranno sicuramente sotto la soglia della autosufficienza economica al momento della pensione.
Come si può progettare una riforma pensionistica senza partire dalla condizione reale delle persone alle quali questa riforma è destinata. Le donne che lavorano nel settore terziario, oltre alle conseguenze di una crisi generalizzata, scontano una grave discriminazione, che una recente ricerca presentata dalla Filcams ha confermato. Esse, a parità di lavoro, guadagnano meno degli uomini, in alcuni casi fino al 35%.
A determinare questo fenomeno, oltre al diffuso ricorso che nel settore viene fatto dei contratti part-time e delle altre tipologie contrattuali flessibili, concorre l’inesistenza di una condizione di pari opportunità tra donne e uomini. Sulle donne ricade il maggior onere del lavoro di cura, che porta le donne a fare quattro mestieri in uno, ma i mestieri che si aggiungono a quello esercitato sul luogo di lavoro, quello di mogli, madri, figlie, non è riconosciuto dallo stato ed i vuoti contributivi prodotti dalle assenze per le cure domestiche, in un sistema previdenziale di natura contributiva, non fanno che allontanare inesorabilmente la maggior parte delle donne da una soglia pensionistica dignitosa.
In questo senso, è giusta l’attenzione che il documento congressuale pone al tema delle pensioni, in una ottica di revisione della ultima riforma, per rendere da questo punto di vista inclusiva la riforma stessa e non discriminatoria, come al momento appare, soprattutto per le donne del settore.
Analogo discorso vale per gli ammortizzatori. La Riforma Fornero, introducendo l’Aspi e la mini-Aspi, non solo non ha reso universale il sistema delle tutele, ma ha addirittura peggiorato i trattamenti di cui godeva il settore con il precedente istituto della disoccupazione. Anche questa scelta influisce sulle future pensioni, oltre che sulla condizione economica del presente.
Un mercato del lavoro precario e poco tutelato come quello del terziario non può che essere sensibile ad ipotesi di sostegno al reddito, che offrano anche strumenti certi, quale può essere il reddito minimo garantito. Su questo punto il documento congressuale offre alla discussione opinioni anche diverse, come è giusto che sia in una libero confronto di idee. Quello che conta è la consapevolezza di tutta l’organizzazione che l’unica cosa che non può essere accettato dal settore, ma da tutti i settori, è intervenire sulla condizione precaria delle persone e dei giovani in particolare, con forme che si avvicinano più all’assistenzialismo che alle politiche attive. In una fase della vita del Paese dove si è alla disperata ricerca di risorse per uscire dalla crisi, spesso per la mancata volontà di andare a cercarle dove esse si annidano, non un solo euro può essere speso se non per ricreare il legame delle persone con il lavoro.
Facciamo l’esempio della spending review. Il documento congressuale, nel definire una linea di riforma della pubblica amministrazione diversa da quella dei tagli lineari operati dal Governo, pone l’attenzione sul nesso stretto esistente fra innovazione della P.A. e qualità dei servizi, evidenziando il grave problema legato alle attività in appalto, che dai tagli del Governo subiscono un drastico ridimensionamento. Le lavoratrici, in massima parte, ed i lavoratori del settore multiservizi sono fra quelli più interessati a godere di forme di tutele del reddito, poiché la spending rewie si configura come un vero e proprio massacro sociale, sia per la drastica riduzione delle ore di lavoro, sia per la riduzione completa delle attività lavorative in molti casi.
Ma per loro il tema di fondo è quale futuro occupazionale, poiché per questo settore non vi sono idee molto chiare e quelle poche che circolano sembrano aver dimenticato che esiste una intera categoria che rischia di trovarsi sulla strada. Ovviamente, il problema non se l’è posto il Governo, per il quale il tema è spendere meno. Ma il problema, probabilmente, non è ancora neanche all’attenzione del sindacato in modo sufficiente. Anzi, nella stessa nostra Confederazione si parla di ri-internalizzazione dei servizi, senza individuare alcuna prospettiva per coloro che tali servizi hanno svolto finora con le imprese in appalto. Questo è un punto sul quale si gioca la confederalità del nostro sindacato, contro ogni logica corporativa e settorialistica che purtroppo è presente anche nella Cgil.
Il documento congressuale pone in termini più forti del passato il problema degli appalti quale terreno di sintesi degli interessi generali di chi opera nella pubblica amministrazione o nei settori privati e quale palestra di una nuova confederalità. Ma sappiamo che limiti e resistenze si annidano ancora in modo significativo, come si è evidenziato in alcuni emendamenti alternativi, che in alcuni casi esprimono un forte radicamento con le specificità settoriali, col rischio di frenare la crescita di una coscienza confederale più diffusa. Inutile nasconderlo, permangono ancora forti difficoltà nella comunicazione, nella interlocuzione e nella comprensione reciproca fra le categorie interessate alle medesime problematiche. La crisi è indubbiamente un alimento pericoloso del corporativismo, per questo occorre difendere e sviluppare con tenacia il tentativo di fare della questione appalti una palestra della confederalità.

Democrazia e rappresentanza
Dagli anni ’70, che passarono alla storia con Firenze 1,2 e 3, questo è probabilmente il congresso che più di ogni altro potrà celebrarsi con una inversione di tendenza sul terreno delle regole. E se può apparire eccesso di ottimismo parlare di inversione di tendenza, si può senz’altro affermare che l’accordo siglato con la Confindustria e Cisl e Uil rappresenta un fatto di straordinaria novità, che sposta il baricentro delle relazioni verso le posizioni da sempre auspicate dalla Cgil.
L’accordo, dopo essere stato sottoscritto, incontra non pochi problemi per la sua effettiva applicazione, a conferma delle enormi resistenze che vi si oppongono, ma non potrà non diventare il faro per l’intero mondo sindacale.
Il documento congressuale pone, per questo, con chiarezza l’obiettivo della sua estensione agli altri settori, oltre a quelli già coinvolti, tra i quali quello del terziario ne costituisce il più rilevante. Occorre che l’intera Confederazione assuma la consapevolezza che la vera partita della democrazia sindacale, se non vuole esaurirsi nella pura retorica, si gioca soprattutto nei settori ove più diffusa è la precarietà e la frammentazione. Prendiamo il caso del mondo Filcams. Esso rappresenta oltre 6 milioni di lavoratrici e lavoratori. I dipendenti di imprese assimilabili ad una fabbrica manifatturiera, ammesso e non concesso, sono innanzitutto quelli della grande distribuzione organizzata, sapendo tuttavia che dentro questi complessi esiste un diffusissimo ricorso a tipologie contrattuali di breve durata, che destrutturano la stessa identità del collettivo. In ogni caso, quelle sono le “fabbriche della Filcams”, che occupano, però, non più di 300 mila dipendenti, cioè, il 5% dell’intera platea. Sarebbe inesatto pensare che la differenza sia tutta polverizzazione e precariato, ma le forme della rappresentanza e della vita sindacale riguardano una esigua minoranza degli addetti al terziario distributivo-turismo-servizi.
Per questo non è sufficiente una estensione “formale” dell’accordo, che pure è indispensabile e per questo è già stato attivato un tavolo confederale e di categoria con Confcommercio. Occorre interrogarsi sulla capacità del sindacato di ripensare le proprie forme organizzative e le modalità del proprio agire per rendere “esigibili” le nuove regole della partecipazione democratica. Su questo forse siamo ancora distanti da una sufficiente presa di coscienza, anche perché il problema è davvero serio e complesso, tale da rendere impotenti. Lo stesso tavolo sulla rappresentanza con Confcommercio si sta ingegnando sulle modalità della certificazione degli iscritti, in categorie nelle quali gli iscritti per delega sono spesso la minoranza, rispetto a quelli prodotti attraverso i servizi ed il contenzioso individuale.
Essere confederali nel modo giusto significa essere decisamente consapevoli che il mondo (del lavoro) non è tutto uguale e che le esperienze compiute in alcuni settori, soprattutto quelli tradizionali del manifatturiero e del pubblico impiego, non sono automaticamente trasferibili nel terziario. Per questo occorre una grande capacità di ascolto e di comprensione reciproca. Svolgere una consultazione via internet o esercitare il diritto di voto on-line, per fare un esempio, non è meno democratico che farlo segretamente nell’urna posta nella sala mensa di un ospedale o di una fabbrica industriale. Ma là dove si riuscisse a sposare la democrazia con la rete non riusciremmo a risolvere che una parte del problema. Il vero problema è lo spostamento decisivo delle risorse umane e finanziarie di tutta la nostra organizzazione verso i settori nei quali la media del pollo non può essere applicata (ad esempio, il rapporto funzionari/iscritti).

Le decisioni del direttivo nazionale Cgil sono state di non portare nel dibattito congressuale i temi della politica organizzativa, per liberare il confronto sulle scelte politiche. Essi andranno recuperati subito dopo lo svolgimento del congresso, perchè, in alcuni casi, non sono affatto scindibili dai nodi della rappresentanza e della democrazia, come sicuramente nel caso del terziario

Documento Congressuale Filcams
Su molte delle riflessioni svolte vi è ancora molto da approfondire e la categoria contribuirà ad un maggior coinvolgimento di tutta la Confederazione, anche in termini propositivi, con il proprio documento congressuale, dal quale potranno scaturire ordini del giorno impegnativi per tutta la Cgil nella sede finale del congresso.
Il nostro documento congressuale, come già nel precedente congresso, non costituirà documento formale da sottoporre al voto delle assemblee congressuali di base, nelle quali verranno proposti esclusivamente quelli approvati dal direttivo nazionale Cgil.
Esso risponderà all’esigenza di fare un bilancio di questi ultimi quattro anni, di quanto realizzato sulla base delle indicazioni contenute nel documento approvato allo scorso congresso ed al tempo stesso indicare gli orientamenti e gli obiettivi per l’iniziativa del prossimo mandato congressuale.
Il nostro documento congressuale sarà portato ai livelli congressuali delle strutture provinciali e regionali, per poi trovare la sua sintesi finale al congresso nazionale e costituire per tutta la categoria ed il suo gruppo dirigente il patto politico per la gestione della categoria nei prossimi quattro anni.
La proposta sarà avanzata dalla segreteria nella prossima sessione del direttivo nazionale Filcams, già prevista per i giorni 15 e 16 gennaio, ma già da oggi invitiamo il gruppo dirigente ad una rilettura del documento scaturito dal precedente congresso, per contribuire ad un suo aggiornamento, nel contesto odierno.

Per la verità, rileggendo il documento del precedente congresso, potremmo dire che l’analisi di fondo, lungo l’asse politico e culturale indicato dalla parola d’ordine che scegliemmo (Il futuro sostenibile del lavoro terziario) mantiene in gran parte la sua attualità. In questi ultimi quattro anni, gli unici cambiamenti sostanziali si sono avuti nel precipitare della crisi, un precipizio senza fine, che ha coinvolto tutti i nostri settori, fino, in ultimo, notizia di queste ultime ore, il rischio di collasso del settore appalti, a partire dagli appalti storici.
In questo quadro, va da sé che i prossimi quattro anni dovranno caratterizzarsi non solo sul versante dell’emergenza occupazionale, perché la crisi sarà, purtroppo, ancora per un po’ la nostra compagna di viaggio, ma ancor più sulle prospettive dei nostri settori, su quale loro futuro possibile. Nel mandato congressuale che va a scadenza abbiamo provato a premere su questi tasti, provando ad avviare o dare continuità, con l’iniziativa del 3 luglio scorso, un ragionamento sul ruolo strategico del turismo (oltre a quanto abbiamo detto e fatto sul settore distributivo). Ma è fuori discussione che dobbiamo premere sull’acceleratore, dobbiamo intensificare la nostra iniziativa, anche perché, se una cosa abbiamo capito, del futuro del settore distributivo, o del turismo, o dei servizi ed anche altro (professioni, lavoro domestico, ecc…), tra tutti, partiti vecchi e nuovi, istituzioni moderne ed antiche, se non ne parla la Filcams nonne parla nessuno! Possiamo affermare a piena ragione di rappresentare il vero punto di riferimento per questa parte di mondo che fa capo alla nostra categoria.

L’altro aggiornamento indispensabile riguarda tutto il terreno della contrattazione, assolutamente sconvolto nell’ultimo quadriennio. Per certi versi, verrebbe da chiedersi se la categoria avrà ancora un futuro contrattuale degno di questo nome. Il bilancio di questi ultimi quattro anni non fa che registrare la riduzione graduale dell’area che tradizionalmente svolgeva la contrattazione, a partire dalla GDO, che ha visto sistematicamente saltare per via della crisi i riferimenti contrattuali degli ultimi anni.
Parimenti, la stessa contrattazione nazionale ha vissuto altri sconvolgimenti, dal contratto separato della TDS, al quale ha fatto seguito quello della vigilanza, alla più recente disarticolazione contrattuale esplosa nel settore del turismo.
Il futuro contrattuale della categoria va indubbiamente riprogettato, nei suoi contenuti e nella sua diffusione. Dovremo impegnare la categoria a rispondere a tre domande fondanti del nostro nuovo progetto contrattuale: che cosa contrattiamo, chi contratta e con quali regole. Cosa contrattare è il tema dei contenuti ed esso è tutt’altro che disgiunto dai processi di riorganizzazione delle imprese e di settori interi. Per fare un esempio, non sarà più possibile immaginare la prossima piattaforma per il rinnovo del Ccnl della vigilanza privata senza misurarsi con l’evoluzione vissuta dal settore in questi anni, con cosa sono diventate le imprese di vigilanza ed il servizio nel terzo millennio. E questo esempio vale per tutti gli altri settori, poiché i settori del terziario sono quelli che vivono più di tanti altri la sfida evolutiva imposta dai processi di riassetto delle economie e delle società di oggi.
Chi contratta, soprattutto al secondo livello, è il tema dei soggetti di rappresentanza nei luoghi di lavoro. Mi è capitato di dirlo già in altre riunioni, questo nostro XIV Congresso Nazionale deve essere quello che lancia la sfida a tutto il gruppo dirigente di categoria e confederale, della formazione di una nuova leva di rappresentanti sindacali nei luoghi di lavoro e sappiamo che si tratta di territorio largamente inesplorato. Il problema non è solo quello di fare le Rsu nella GdO (che già è un problema), ma di inventarsi le forme della rappresentanza nei mondi più lontani dalla tradizione.
E poi le regole, che anche in questo caso devono misurarsi con le peculiarità del settore, come è subito apparso chiaro al tavolo sulla rappresentanza avviato con Confcommercio. Per noi questa non potrà essere solo materia formale, ma molto sostanziale, terreno di coraggiose sperimentazioni, perché non basterà dire che le lavoratrici ed i lavoratori devono votare, ma dovremo rendere esigibile questo diritto.

Questi temi dovranno rappresentare la palestra principale della Filcams per il prossimo mandato contrattuale, dentro la quale ridefinire anche il livello dei rapporti unitari, caratterizzati all’epoca del precedente congresso dalla firma separata del Ccnl Tds e dalla politica di isolamento della Filcams-Cgil da parte di Cisl e Uil e giunti oggi ad una significativa disarticolazione, dovuta anche alle novità degli ultimi mesi, a tutti note.
In generale, gli accordi unitari sulla rappresentanza e sulle regole hanno si introdotto un forte elemento di novità, ma questa novità positiva non è del tutto metabolizzata nel sindacalismo confederale italiano. E se la difficile metabolizzazione riguarda tutto il sindacato confederale, nel mondo del terziario è forse maggiore, perché le novità di scenario tendono a mettere in discussione equilibri sui quali le altre due organizzazioni di categoria, anche per nostre sottovalutazioni, avevano costruito un loro monopolio nel sistema di relazioni sindacali, in particolare per l’estesa realtà della bilateralità. Tant’è che nella gestione quotidiana delle vicende sindacali, fino ai problemi di rinnovo delle Rsu, non si registrano significativi cambiamenti negli atteggiamenti dei nostri interlocutori.
Per queste ragioni nel prossimo mandato congressuale la Filcams dovrà spingere per portare nel settore terziario tutti gli elementi di novità emersi nel contesto sindacale. Ma, soprattutto, la Filcams dovrà ritrovare la sua autonomia ed un suo protagonismo, scrollandosi di dosso una certa subalternità derivata fino ad oggi dall’assenza di ogni regola. Noi siamo di gran lunga la categoria più rappresentativa nel terziario e dobbiamo esprimere questa maggiore rappresentanza senza condizionamenti, imbarazzi, timori di ogni genere.

Ma l’eventuale scenario di nuove regole unitarie non farà che accentuare la competizione tra le sigle, ragion per cui dovremo saper accettare la sfida, potendola giocare sempre più con le regole condivise.
Questo comporta, però, mettere la nostra organizzazione nella condizione di esprimere la massima proiezione sui luoghi di lavoro, nelle trincee quotidiane, temi che sono stati affrontati nell’assemblea organizzativa di luglio e che dovremmo impegnarci nelle conseguenti attuazioni e sperimentazioni fin dalla conclusione del congresso.

La nostra idea, dunque, è di proporre al prossimo direttivo una bozza di documento, da veicolare nel dibattito congressuale di categoria. L’obiettivo, oltre a definire i contenuti del nostro prossimo mandato è quello di produrre alcune ricadute sul congresso della Cgil.
Come ho detto, la Filcams ha partecipato ai lavori della commissione politica contenendo la tentazione di produrre tanti emendamenti specifici. Vorremmo al tempo stesso evitare di far scaturire dai congressi provinciali e regionali nuovi emendamenti, soprattutto sulle questioni settoriali, perché rischieremmo di perderli strada facendo, oppure, di non riuscire ad affermarli in sede di congresso nazionale.
L’idea che vi proponiamo è, invece, di lavorare tutti insieme concentrando e caratterizzando il nostro percorso congressuale su alcuni ordini del giorno da portare fino al congresso nazionale della Cgil. Ordini del giorno che per loro natura hanno qualche probabilità in più di conquistare il consenso della platea congressuale confederale. Essi dovrebbero riguardare alcune questioni importanti della nostra categoria che il documento congressuale Cgil non ha potuto comprendere in modo adeguato e sulle quali sarebbe opportuno un pronunciamento impegnativo della Confederazione. Penso, per fare alcuni esempi, al tema delle liberalizzazioni, o a quello dell’economia della cultura in rapporto alle politiche per il turismo, ma anche al tema dei servizi, che è finita su un materiale del dipartimento confederale in modo del tutto contraddittorio (esternalizzazione servizi).
Il prossimo comitato direttivo potrebbe assumere queste questioni attraverso alcuni ordini del giorno, che l’intero gruppo dirigente si impegnerebbe a portare nei congressi Filcams a tutti i livelli.