30/10/2002 ore: 10:52
Un reddito sociale minimo di 650 euro al mese per i disoccupati
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30 ottobre 2002
Una proposta trasversale al centrosinistra, firmata da 56 parlamentari, per adeguarsi all’Europa. Un sostegno per chi deve lottare contro la mancanza di lavoro e il precariato
Un reddito sociale minimo di 650 euro al mese per i disoccupati
Felicia Masocco
ROMA Mentre il Parlamento si appresta a riformare
il mercato del lavoro formalizzando il precariato,
cinquantasei parlamentari del centrosinistra rilanciano
la proposta del reddito sociale minimo ai
disoccupati. Un disegno di legge è stato depositato
al Senato e alla Camera, primi firmatari Cesare
Salvi a Palazzo Madama e Polo Cento a Montecitorio,
con le loro altre firme di tutti i gruppi dell’Ulivo.
Obiettivo, prevedere anche un Italia un «sostegno
contro la disoccupazione e la precarietà del
lavoro», ricalcando quel che avviene nel resto d’Europa
dove, fanno notare i promotori, siamo in
compagnia solo della Grecia e della Spagna.
L’iniziativa è stata presentata ieri, queste le
coordinate: l’importo del reddito sociale minimo
è di 8mila euro l'anno (circa 650 al mese), non
soggetto a tassazione, per tutti coloro che siano
residenti in Italia da almeno due anni, siano iscritti
alle liste di collocamento da almeno un anno,
abbiano un reddito imponibile annuo non superiore
a 5mila euro e appartengano a un nucleo
familiare con reddito imponibile annuo non superiore
a 25mila euro l'anno. Ai 650 euro dell'assegno
mensile si aggiungerebbero sgravi a facilitazioni
tariffarie per arrivare alla cifra di mille euro al
mese. Il costo dell’operazione viene indicato in 30
miliardi di euro l’anno, risorse da reperire «esclusivamente
attraverso varie forme di tassazione sui
capitali», un’imposta patrimoniale, colpire le rendite
finanziarie e i grandi patrimoni, tassare realmente
e uniformemente i guadagni in conto capitali
(capital gain), passando per la Tobin tax. «Il
fisco è anche redistribuzione del reddito» fa notare
il vicepresidente del Senato, e a mettere l’accento
su come l’aumentata produttività del lavoro sia
andata negli ultimi anni in gran parte ai profitti a
scapito della remunerazione del lavoro e degli investimenti
produttivi è stato Luciano Vasapollo, direttore
del centro studi Cestes che elaborò la proposta
già depositata nel ‘99, caduta del dimenticatoio
e oggi ripresa pressoché testualmente.
«Non si tratta di assistenzialismo», ha continuato
Cesare Salvi, «ma di un punto molto avanzato
di riforma dello Stato sociale. Credo sia una
proposta di sano e forte riformismo che speriamo
venga condivisa da tutto il centrosinistra». E oltre
possibilmente visto che una proposta analoga porta
la firma di Rifondazione comunista. «Si tratta di
combattere il nuovo precariato - afferma l’ex ministro
del Lavoro - è innanzitutto una proposta per
il diritto al lavoro, alla buona occupazione. Se
questa non c’è, si interviene con il reddito sociale
minimo perché lo Stato ha il dovere di assicurare
una vita dignitosa a tutti». Parlare di Stato sociale,
dunque e non soltanto di ammortizzatori sociali
che «come dimostra il caso Fiat, spesso significano
licenziamenti morbidi». La crisi Fiat «è crisi di un
modello che ha visto al centro l’impresa», spiega
Paolo Cento, «quella centralità va spostata e riportata
sul diritto ad avere un reddito indipendente
dall’occupazione». Di fronte ai disegni iperliberisti
del governo, Cento ha sottolineato «i ritardi e le
debolezze» del centrosinistra: «Su questa proposta
- ha concluso chiamiamo a discutere le forze politiche
e sociali e i movimenti». Alla presentazione
hanno partecipato rappresentanti del sindacalismo
di base, dei centri sociali, dei noglobal, la
«rete» che con il Cestes portò per prima la proposta
in Parlamento raccogliendo 63 mila firme.