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venerdì 23 febbraio 2007
Pagina 5 - Politica
Uliwood party
Chi va al mulino, Pininfarina
Marco Travaglio
Mentre «l’onorevole professor Romano Prodi» rassegnava le sue dimissioni nelle mani del capo dello Stato in un colloquio di 20 minuti «grave e asciutto», mentre migliaia di elettori esausti e inferociti tempestavano le redazioni e le segreterie dei partiti per esternare i sensi di tutto il loro schifo, la consueta compagnia di giro sciamava nei vari boudoir televisivi per una promettente seratina-nottatina di cazzeggio sottovuotospinto. Particolarmente apprezzato, non so più se chez Vespa o chez Mentana, ormai perfettamente intercambiabili, il siparietto del Politomargherito, del Vladimirluxuria e del Paolocento dal cognome francamente eccessivo (basterebbe e avanzerebbe un Dieci) che disillavano stravaccati sui divanetti bianchi i sapidi retroscena della catastrofe. «Non sapete con che auto è arrivato Pininfarina, ah ah!». «E cos’è successo quando si è seduto nei banchi del Polo, ah ah!». «Per non parlare di quando è arrivato Zanone per dirgli di votare sì, ah ah!». Le risate, signora mia, le risate! In ossequio al detto di Flaiano «la situazione è grave ma non seria», alcuni dei protagonisti, anzi delle comparse dell’ennesima debacle intrattenevano gli elettori attoniti e sgomenti con aria ridanciana, come se stessero parlando di un film appena visto al cinema, di un vaudeville al teatro, comunque di un qualcosa che non li riguardava ma li divertiva un sacco. Si capiva benissimo che, Prodi o non Prodi, governicchio o governissimo, loro saranno sempre lì, morbidamente assisi: anzi, una bella crisi ogni tanto elettrizza il clima, alza l’audience e costringe i bravi conduttori a invitare loro anziché la compagnia della buona morte sul delitto di Cogne o sulla strage di Erba. Averne, di crisi così ricche di retroscena, aneddoti, storielline carine: con tutto quel bendidio si staziona in tv per qualche altra settimana a commentare consultazioni, esplorazioni, indiscrezioni, dichiarazioni. Sempre meglio che governare. Così la gente si convince che sono tutti uguali, che è tutto un magnamagna e che ci meritiamo Berlusconi. Il quale, dal canto suo, dimostra già vent’anni di meno in perfetta sintonia col rialzo del titolo Mediaset in borsa e ha buon gioco a pontificare sull’inaffidabilità dei comunisti, ai quali - con un tocco di classe - insegna la «coerenza morale». Poi rassicura: «Casini non va da nessuna parte, me l’ha garantito personalmente il nostro amico siciliano Totò Cuffaro» («e io allora che ci sto a fare?», avrebbe commentato piccato Marcello Dell’Utri, reduce dai trionfi dei falsi diari del Duce). Così chi, fino all’altroieri lo dava per morto e lo proponeva addirittura come senatore a vita è servito. Il resto è vacuo chiacchiericcio sul complotto dei «poteri forti» - la spectre Vaticano-Amerika-Confindustria - che avrebbe subornato i compagni Andreotti, Cossiga e Pininfarina su cui i professionisti della politica, quelli che ci capiscono, contavano moltissimo. «Sono mancati i voti di Andreotti e Pininfarina», osservava stupefatta Anna Finocchiaro, che pure in mattinata pareva rincuorata dall’arrivo dell’industriale. Come se Pininfarina fosse un operaio delle presse e Andreotti non fosse l’ex candidato di Bellachioma alla presidenza del Senato. Per non parlare di Cossiga, che ci aveva pure fatto la grazia di dare le dimissioni da senatore a vita, ma l’Unione le aveva astutamente respinte. «Ma come, Andreotti aveva assicurato il suo appoggio», diceva costernato Nicola Latorre, che crede ancora alla parola di Andreotti e, probabilmente, anche alla Befana. Come pure Mastella, che mesi fa annunciava un Andreotti ormai conquistato alla causa («Dobbiamo fargli un monumento, altro che parlare della sentenza di Palermo») e ora lo difende ancora, accusando la maggioranza (di cui lui fa parte): «Facciamo la guerra agli Usa, attacchiamo il Vaticano e abbiamo nei dintorni qualche epigono del terrorismo». Berlusconi o Calderoli non saprebbero dire meglio. Resta da capire perché Blair possa ritirarsi dall’Iraq, mentre noi non possiamo nemmeno discutere dell’Afghanistan. Enzo Carra, il teodem condannato, sta già alla cassa: «Intanto abbiamo affossato i Dico». Ma bravo, complimenti vivissimi. Insomma, gl’insulti giustamente piovuti sulle eventuali teste del trotzkista Turigliatto e del signor Rossi dell’Officina Comunista andrebbero condivisi con tanti, troppi.
Poi, fuori dal palazzo e dai salotti, ci sarebbe la signora Giuliana Vaccari, che scrive implorante all’Unità: «Chi vi ha votato vive con mille euro al mese. Siate seri». Ma chi cazzo si crede di essere, questa qua?
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