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venerdì 23 dicembre 2005
Pagina 7 - Oggi
Commercianti alla scalata del Corriere...
Sergio Billè e il sodalizio con Ricucci Dagli immobili a Rcs: indagini a Milano
di Oreste Pivetta / Milano
PALAZZI - «Ricucci, chi?», chiese una volta il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi. Secondo la signora Falchi «Ricucci, chi?» sarebbe solo un generoso e ingenuo Peter Pan. Come mai non ha citato Robin Hood? Secondo Sergio Billè, re dei pasticcieri, sarebbe «uno di cui non fidarsi»... ma di cui si è fidato al punto di contribuiere a pagargli varie imprese e soprattutto l’impresa delle imprese, la scalata al Corriere della Sera, strapagandogli la famosa palazzina di via Lima: trentanove milioni in euro contanti. Scalata dai mille misteri che sarà il prossimo obiettivo delle indagini dei magistrati milanesi, per tentare di capire come è avvenuta, con i soldi di chi, con quali forze e progetti in campo, ma nell’ombra, per capire pure che cosa mai potessero c’entrare i commercianti con il futuro editoriale di via Solferino, commercianti che avranno saputo dai giornali d’altri settantacinque milioni, soldi loro e sotto sequestro, utilizzati però extra bilancio e in operazioni giudicate non istituzionali.
Secondo una stima approssimata, Stefano Ricucci sarebbe soprattutto e ancora un quarantatreenne odontotecnico delle campagne romane con un patrimonio dichiarato di quasi due miliardi di euro (la metà in immobili). Molto ambizioso, per sè ma, evidentemente, anche per conto d’altri.
Ovviamente Ricucci i due miliardi non li ha messi da parte tra otturazioni e ponti. Sarebbe un primato da medaglia. In fondo Ricucci non s’è inventato un mestiere, ha seguito la strada d’altri, che un tempo si chiamavano semplicemente palazzinari o speculatori. Così, con qualche appoggio, aveva cominciato anche il nostro presidente del consiglio.
Forse, proprio ispirandosi al cavalier Silvio Berlusconi, Stefano Ricucci aveva inseguito l’alta onorificenza. Pare che sia stato lo stesso Billè (come ha rivelato Ferruccio De Bortoli) a farsi patrocinatore di tanta candidatura. Ovviamente tramite solidarietà ministeriali. Bocciati tutti alla fine: Ricucci, Billè e i ministri.
Si dice oggi che Ricucci sia stato bravo a profittare della bolla immobiliare. Pare abbia iniziato permutando un terreno di famiglia con quattro appartamenti. Ricucci non si ferma però: vende e rivende. Ma il suo miracolo si chiama Fiorani: lo incontra alla fine degli anni novanta e grazie al banchiere di Lodi riesce a entrare nel grande giro, partecipando alla spartizione delle aree ex Falck a Sesto San Giovanni, insieme con Emilio Gnutti e i fratelli Lonati. Nascerebbe lì, tra i rottami della siderurgia, l’asse Roma-Lodi-Brescia. Sono gli anni di Telecom, ma anche della crescita della Popolare di Lodi e di una amicizia che si rinsalda: nel 2002 spunta Bpl Investimenti, presieduta da un ex sottosegretario, Giarda. Stefano Ricucci sarà consigliere.
È fatta, si sarà detto il nostro Peter Pan, che dovrà ancora apprezzare la vicinanza di Gianpiero Fiorani. Sarà la Popolare infatti a finanziarlo nella scalata a Capitalia dalla quale il finanziere esce con una plusvalenza di 200 miliardi tre giorni prima che Geronzi venga raggiunto da un avviso di garanzia. Saranno ancora i finanziamenti della Lodi a prendere corpo nella partita Antonveneta cui Ricucci partecipa con Gnutti, Lonati e altri.
Sarà ancora la Lodi a fornire parte dei rifornimenti al gruppo di immobiliaristi capitanato da Francesco Caltagirone che s’organizza nel contropatto per conquistare la Bnl. Sarà ancora la Lodi (con Deutsche Bank) ad affiancare Ricucci in alcune gare tra le quali quella per gli immobili (valore stimato, 3,2 miliardi di euro) dell’Enasarco, l’ente che gestisce le pensioni degli agenti di commercio, presieduto da Donato Porreca. In questo caso ancora con la benedizione di Billè, che ha molta stima del giovanotto e lo mette a capo della Confimmobiliare, l’organizzazione che raggruppa gli imprenditori del settore. Le alleanze di Ricucci s’allargano. Il risultato: un patrimonio di due miliardi di euro il cui controllo sta ovviamente all’estero, nei paradisi fiscali, l’isola di Guernsey e il Lussemburgo. Con tanti risultati alle spalle, tra tanti amici, Ricucci si gioca un anno di fuoco: banche e giornale e in mezzo il matrimonio.
Ovviamente più che le banche, fa scandalo l’assalto al bunker di via Solferino, presidiato da un patto di sindacato che di fronte alle advances del nemico romano, s’è davvero barricato, chiudendo a chiave porte e finestre. Ricucci scala, scala, ma si ritrova sempre al di qua del traguardo. Finchè si capisce che con le sue azioni non potrà combinare nulla. La sorte gira: l’inchiesta su Antonveneta e poi l’arresto di Fiorani mutano il suo paesaggio, la magistratura non manca un colpo, persino la Falchi s’inquieta e, a proposito di Rcs, fa sapere: «Stefano non ha ancora venduto il suo pacchetto, vorrebbe, ma non c’è nessuno che tira fuori i soldi». La verità: Ricucci deve tenersi in portafoglio il suo 15 per cento di Rcs, che nessuno vuole perchè Magiste, la sua società, rischia il fallimento se i magistrati non si decideranno alla svelta a dissequestrare la quota detenuta da Ricucci in Antonveneta, azioni per 381 milioni già prenotate dagli olandesi di AbnAmro.
Interdetto dalla cariche sociali (dal 2 agosto scorso), indagato a Roma per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza (da primo settembre), nell’inchiesta per appropriazione indebita insieme con Billè e altri tredici dirigenti di Concommercio, Peter Pan Ricucci sceglie il basso profilo, s’appiattisce all’ombra degli avvocati (Vittorio Ripa di Meana e Carlo Federico Grosso) e passa alla strategia del silenzio. Parla quando, dopo le manette per Fiorani, avverte anche lui qualche tintinnio sospetto: racconta di fondi che viaggiano da Milano alle Isole Vergini al Lusssemburgo e ritornano, proprio mentre erano in corso le scalate di Rcs e di Antonveneta, racconta dei soldi di Billè, dell’Enasarco. Senza farsi pregare, sperando che le parole siano sufficienti a salvarlo dal peggio.
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