martedì 26 luglio 2005

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    Tfr, la riforma Maroni-Mediolanum non va
      Dalla Cgil a Confindustria, le parti sociali hanno respinto il testo del governo
        di Felicia Masocco/ Roma

        RISPEDITO al mittente per eccesso di delega e non solo. Lo schema di decreto per la riforma della previdenza complementare varato dal governo all’inizio del mese va riscritto. A chiederlo è una compagine di ventuno sigle, tra associazioni di industria, commercio, artigianato, agricoltura, coop e sindacati. Una bocciatura corale messa nero su bianco in sei cartelle che ieri hanno preso l’indirizzo del ministero del Welfare. Con un avvertimento: senza il consenso delle parti sociali questa riforma non parte, «è destinata al fallimento» come ha ricordato il leader della Uil Luigi Angeletti. Domani l’incontro con il ministro Roberto Maroni.
          Le critiche partono dall’assetto. Due i nodi principali: il decreto prevede l’equiparazione tra fondi pensione negoziali (di natura collettiva) e polizze individuali (cioè assicurative, come quelle proposte da Mediolanum, per fare un esempio). Così non va, ai fondi negoziali va restituita priorità, se non altro perché il Tfr nasce dalla contrattazione sindacale, è salario differito. Il documento comune definisce poi «non accettabili» alcune limitazioni ai diritti dei lavoratori. A differenza della normativa vigente lo schema varato dal governo impedisce al lavoratore che aderisce ai fondi di ripensarci anche quando il rapporto di lavoro termina. In sostanza gli è consentito di riprendersi il suo Tfr (il trattamento di fine rapporto, la liquidazione) solo quando andrà in pensione o dopo quattro anni di disoccupazione. Un’altra restrizione riguarda le anticipazioni. Nel caso di un acquisto di una casa, ad esempio, oggi è possibile chiedere anche il 70-80% di anticipo del Tfr: se passasse lo schema del governo, la quota si ridurrebbe al 50%. «Sono modifiche che vincolano moltissimo il lavoratore, e più vincoli si mettono più cresce il rischio che non aderisca», spiega Morena Piccinini segretaria confederale della Cgil, «così si va oltre la delega».
            Anche sul meccanismo del silenzio-assenso sindacati e imprese chiedono che venga eliminato ogni dubbio. Nel caso che il lavoratore resti «silente», il decreto prevede una corsia preferenziale per i fondi negoziali (quelli istituiti con accordi tra datori di lavoro e sindacati). Ma se ci sono più «forme» che possono acquisire il Tfr, per l’avviso comune a decidere devono essere datore di lavoro e sindacati. Le compensazioni per le imprese: la delega diceva che il trasferimento del Tfr deve avvenire «senza oneri aggiunti» per i datori di lavoro. Oggi le liquidazioni restano in azienda, si tratta di un flusso annuo di 13 miliardi di euro che per le imprese sono una fonte di finanziamento. Visto che se non tutta, in parte verrà a mancare le aziende chiedono un accesso al credito agevolato per lo stesso importo di Tfr a cui devono rinunciare. Ma le banche non ci stanno. Inoltre il governo non ha provveduto al taglio del costo del lavoro previsto dalla delega. Tutte queste considerazioni non piacciono però alle assicurazioni per le quali se la riforma resta com’è è un bel business. Dice Giampaolo Galli direttore generale dell’Ania: «Se queste proposte dovessero passare ricorreremo alla Consulta».