Tfr e pensioni, i passi da fare CONTINUA DA pag.1
Qui entra in gioco il Tfr. Fin dall’inizio, il Tfr è stato individuato — correttamente — come la risorsa a disposizione per il finanziamento della previdenza complementare; è stato però anche individuato — erroneamente — come una risorsa "libera", il cui dirottamento verso un impiego più redditizio non poteva che essere gradito ai lavoratori. La comprensibile resistenza delle imprese, che sarebbero state private di una forma di finanziamento a basso costo, si sarebbe potuta superare con un moderato incentivo fiscale. Per i lavoratori ci sarebbe stata la prospettiva di una pensione integrativa, per le imprese la possibilità di accedere a mercati finanziari divenuti più efficienti, e quindi meno costosi, grazie all’afflusso di queste ingenti masse di risparmio a lungo termine. Chi mai avrebbe potuto essere tanto "oscurantista" da preferire la soluzione antiquata del Tfr a quella dei fondi pensione, più moderna, più remunerativa e più consona alla new economy, soprattutto visto che lo Stato ci metteva di suo un pizzico di incentivazione fiscale?
L’illusione delle risorse gratuite. L’errore di questo disegno è consistito nell’immaginare che i soldi della tasca destra (e cioè il Tfr) fossero privi di una loro precisa funzione e che pertanto fosse sufficiente spostarli nella tasca sinistra (fondi pensione) per far sentire i lavoratori più ricchi e più contenti. In realtà il Tfr assolve compiti importanti anche per le scelte patrimoniali dei lavoratori e il suo smobilizzo è costoso non soltanto per le imprese: i (modesti) benefici fiscali non sono infatti apparsi sufficienti al lavoratore medio a compensare la perdita dei vantaggi che, pure con tutti i suoi limiti, il Tfr concretamente offre, ossia un’assicurazione contro la disoccupazione e una riserva di liquidità in particolari momenti di bisogno. Questo spiega la forte riluttanza mostrata dai lavoratori, i quali da diversi anni ne hanno la possibilità, nel cambiare destinazione alla loro liquidazione.
Le cose da fare. È comprensibile che il Presidente Amato, che ha iniziato nel 1992 il processo di riforma del sistema previdenziale e di diversificazione dei suoi pilastri, volesse terminare il suo mandato almeno con un parziale successo nel determinare le condizioni per lo smobilizzo del Tfr a favore della previdenza integrativa senza toccare il pilastro pubblico. È però difficile pensare che un esperto di previdenza, come il professor Amato, ritenga davvero che si possa costruire un buon pilastro privato lasciando inalterato, nelle sue attuali distorsioni e dimensioni, il pilastro pubblico.
La conclusione è inevitabile: perché la previdenza integrativa possa veramente decollare, l’aliquota contributiva per il pilastro pubblico deve essere ridotta dall’attuale, elevatissimo livello del 33% (per i lavoratori dipendenti). Lo smobilizzo del Tfr si può incentivare davvero solo dirottando contemporaneamente verso i fondi pensione anche una parte, sia pure piccola, di quel 33% e questo costituisce una ragione in più per completare la riforma del pilastro pubblico estendendo il sistema contributivo e rivedendo le pensioni di anzianità. È questa, pur nella sua difficoltà, la strada maestra da percorrere; le scorciatoie sono sempre rischiose.
---firma---Elsa Fornero
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