Non si vive con mille euro al mese

di Admin

mercoledì 27 ottobre 2021

            martedì 28 settembre 2004

            Non si vive con mille euro al mese
            In Italia la vera emergenza è quella salariale, le famiglie non ce la fanno più

            Laura Matteucci

            MILANO Italiani, povera gente. Mica tutti, certo, i ricchi sono sempre più ricchi, ma i poveri sono sempre più poveri. E soprattutto sono sempre di più. Dice bene Marigia Maulucci, della segreteria confederale Cgil: «Quello cui assistiamo è un attacco concentrico al potere d’acquisto».

            La stangata della nuova Finanziaria.

            La Finanziaria che domani inizia l’iter parlamentare non potrà che aggravare la situazione: di fronte ad una crescita media della spesa pubblica del 5-6%, fissare il tetto massimo al 2% equivale a tagliare tra il 3 e il 4%. Morale: «Sette miliardi di risparmi sono sui servizi - dice Maulucci - Questo significa incidere direttamente sul potere d’acquisto degli italiani, perchè i servizi saranno qualitativamente inferiori e in compenso costeranno sempre di più». In più, a pesare ci sono i prezzi al consumo e le tariffe in costante aumento (solo per quelle del gas è già previsto un rialzo del 3%, dovuto alla mancata disponibilità a ridurre le accise). Giorgio Lunghini, docente di Economia politica all’Università di Pavia, la pensa allo stesso modo: «È evidente che la Finanziaria colpirà i servizi sociali, anche perchè in maniera più o meno diretta verranno ridotti drasticamente i trasferimenti agli Enti locali». A questo si aggiunge una promessa di riduzione delle tasse che viene continuamente rinviata e di cui comunque trarrebbero beneficio solo i ceti alti, «mentre il potere d’acquisto continua a diminuire, così come la quota dei redditi da lavoro dipendente pure - riprende Lunghini - In aggiunta, la ripresa non si vede, e assistiamo ad un progressivo spostamento nella redistribuzione del reddito». Infatti: negli ultimi dieci anni, i redditi da profitti e rendite sono cresciuti del 10% sul totale.

            Ma quanto guadagnano gli italiani?

            Berlusconi dice che l’anno prossimo, cioè tra tre mesi, saremo tutti più ricchi, fissa addirittura delle percentuali: il potere d’acquisto aumenterà del 2,2%. La realtà è diametralmente opposta e, così come l’ha disegnata l’Istituto di ricerche Ires-Cgil nel suo ultimo rapporto (titolo «Salari, produttività, inflazione»), disarmante: su un totale nazionale di 22 milioni di occupati, ci sono 10 milioni di lavoratori dipendenti che alla fine del mese mettono in tasca meno di 1.350 euro. E altri 6 milioni e mezzo che ne mettono in tasca meno di 1.000 - perlopiù lavoratori del Sud, dipendenti di piccole imprese, chi si occupa dei servizi alla persona, e circa il 50% degli ex co.co.co., ora convertiti in «lavoratori a progetto» e simili, secondo la Legge 30. Poi ci sono circa 4 milioni di persone che lavorano in nero o in modo del tutto irregolare, e che guadagnano tra i 600 e i 700 euro al mese. Chi sta meglio sono i circa 5 milioni di lavoratori autonomi (ma non è un «meglio» generalizzato), gli unici che negli ultimi anni hanno registrato non solo una tenuta, ma anche una leggera crescita delle loro entrate. Decisamente, una netta minoranza.


            Postilla (si fa per dire): 10 milioni di pensionati vivono con una media di 750 euro al mese, negli ultimi dieci anni hanno perso il 3% del loro potere d’acquisto, e per loro l’impatto medio dell’inflazione viaggia tra il 4,8% e il 5%.


            Quanto resta da spendere.

            La fonte è Bankitalia, i dati sono stati elaborati dall’Ires: «Tra il 2000 e il 2003 la società si polarizza, e il reddito spendibile nel complesso si riduce», spiega il presidente dell’Ires, Agostino Megale. In cifre: il reddito spendibile per i dirigenti pubblici e privati è in media del 9% sul totale, per i pensionati e gli operai viaggia tra lo 0,3% e lo 0,6%. Del resto: tra il ‘96 e il 2001, cioè con il governo dell’Ulivo, i redditi sono cresciuti dello 0,7%. Il risultato dell’arrivo di Berlusconi, invece, ha portato alla loro diminuzione: -1,3% al 2003, -1,5% al 2004 (una percentuale che, poichè l’anno non è ancora finito, potrebbe aumentare fino all’1,8%, a seconda se verranno rinnovati o meno alcuni contratti importanti). La perdita complessiva totale è di circa 70-80 euro al mese.


            Contratti da chiudere.

            Pubblico impiego, ma anche banche e trasporti tra i rinnovi contrattuali più «caldi». Come dice Carla Cantone, della segreteria confederale Cgil: «Ci sono 6 milioni di lavoratori che attendono la rivalutazione del salario, e di questi più della metà sono dipendenti pubblici il cui datore di lavoro, il governo, non fa nulla per tutelarne il potere d’acquisto». Del resto, riprende Lunghini, «per i dipendenti pubblici l’aumento previsto sarà inferiore rispetto all’inflazione reale».


            I dati, ricorda Marigia Maulucci, generalmente confermano che «dove i rinnovi contrattuali si fanno, tutto sommato un riadeguamento del potere d’acquisto c’è». Ma i problemi sono due: i rinnovi non si concludono mai nei tempi previsti, e in più con la Legge 30 si stanno moltiplicando le tipologie professionali prive di un qualsiasi contratto nazionale di lavoro. Ancora: «Il declino continua - chiude Cantone - la povertà aumenta e i salari pesano sempre di meno, a causa di una politica iniqua e fallimentare. Così come continua anche la grande incertezza per il futuro occupazionale e per la precarietà dei rapporti di lavoro».