L’albergo si trova a Torino, in pieno centro storico. È pluristellato e offre ai clienti una alta gamma di servizi, fra i quali un ristorante interno e un elegante bar. È aperto tutto l’anno, ha una media elevata di camere occupate e fa un uso smodato di buoni lavoro. Fra la cucina, la sala e il bancone - dai cuochi, ai camerieri, ai barman - ci lavorano una quartina di persone. Poco più di una decina con regolare contratto, tutte le altre utilizzando i voucher da 10 euro l’ora tutto compreso. Roberto S., 28 anni, un diploma di scuola alberghiera, dà una mano in cucina. «Cuochi a parte, siamo pagati tutti a buoni lavoro», racconta, chiedendo di restare anonimo perché «altrimenti non mi chiamano più». «La maggior parte di noi è sui trenta anni, ma in sala ci sono anche quarantenni rimasti senza occupazione che, in attesa di qualche cosa di meglio, lavorano qui un paio di mesi». Due mesi di lavoro nello stesso posto, per chi è pagato tramite voucher, «è un periodo da record» spiega Roberto. Per legge il lavoratore può ricevere da un singolo committente solo 2 mila e 20 euro l’anno netti. I famosi 7,50 euro l’ora. Quindi la durata della prestazione nello stesso posto varia in base all’orario giornaliero e il turnover è molto veloce «Lo notano anche i clienti che vengono qui con una certa regolarità», assicura. «C’è chi lavora solo quattro ore al giorno e viene chiamato in occasione di particolari eventi, come mostre o concerti in città, durante i quali le presenze aumentano. E fin qui il voucher ci sta», dice Roberto. «Ma nelle maggior parte dei casi i buoni lavoro servono a coprire le necessità quotidiane dell’albergo. Non sono legati nè a picchi nè a stagionalità: ricevi una chiamata dall’ufficio personale e due giorni dopo inizi. Turni di otto ore al giorno, a volte dieci, a seconda del bisogno. Ma non sei pagato a giornata o a settimana. Alla fine del mese mentre gli altri colleghi con regolare contratto ricevono un versamento con bonifico bancario, noi saliamo in ufficio e ci prendiamo il pacchetto di buoni che ci spetta. È capitato che qualcuno si sia lamentato perché a fine mese ha scoperto che l’azienda si era dimenticata di registrarequalche ora di lavoro, diciamo così. Non è stato più richiamato. Ai più bravi, a volte, finito il periodo di lavoro coperto dai voucher, viene proposto un contratto a chiamata. Io ci spero perché rispetto alla situazione attuale è un passo avanti: mi garantisce parte della tredicesima, posso accedere alla disoccupazione. Con i voucher non ho nulla, arrivederci e grazie, avanti un altro ». «Non è mica facile mantenere un alto livelli di servizi con questo via vai di persone - assicura Roberto - ma mi stupisco di chi si sorprende di casi come questo. L’Inps non vede l’enorme quantità di voucher versati dall’ azienda? Non ha nessun sospetto su come vengono usati questi strumenti? L’albergo non è sulle Alpi e nemmeno a Rimini, non c’è stagionalità». In alcuni casi, ammette Roberto, anche i dipendenti sono contenti di essere pagati a ore. «È capitato che qualche studente abbia lavorato qui per un fine settimana. Qualche collega, magari cuoco professionista, gestisce i catering, quindi usa i voucher per arrotondare il reddito quando riceve poche chiamate. Ma nella maggior parte dei casi il lavoro con i buoni è un ripiego. Corri il rischio di non uscire più dal tunnel: lavori un mese qua, un fine settimana là, in situazioni di totale precarietà. L’azienda ci guadagna, tu ti sfibri. Nel mio gruppo di amici non sono l’unico a lavorare così, ma gli altri stanno a Rimini. Qui non c’è estate e non c’è mare, solo un lavoro dove devi stare all’erta ora per ora. Basta un nulla e torni a casa».