Il caro-petrolio affonda imprese e famiglie

di Admin

mercoledì 27 ottobre 2021


            venerdì 8 ottobre 2004



            Il caro-petrolio affonda imprese e famiglie
            Oltre i 50 dollari al barile, il greggio deprime l’economia e alimenta l’inflazione. La Bce in allarme: rischi per la ripresa

            Laura Matteucci


            MILANO Per ora la Banca centrale europea incassa il colpo. Ma non potrà durare a lungo. Il caro-petrolio preoccupa sempre di più. La crescita economica d’Europa è a rischio, quella italiana, che già accusa parecchi problemi di suo e che meno di altre può contare su risorse alternative, anche di più. Per il momento da Bruxelles non ci sono aumenti dei tassi d’interesse del denaro, fermi al 2%, ma se l’inflazione dovesse aumentare, la politica della Bce potrebbe cambiare in senso restrittivo. A quel punto, però, investimenti e consumi - le due variabili che più interessano la crescita economica - ne risentirebbero pesantemente. Conseguenza diretta, un’ulteriore perdita del potere d’acquisto per i cittadini, meno che mai auspicabile nella fase attuale, peraltro già caratterizzata da bassi consumi.

            È allarme petrolio, che anche ieri ha bruciato i record dei giorni precedenti segnandone uno nuovo, quello dei 53 dollari il barile. Colpa - anche - di manovre speculative sempre più evidenti, ma intanto in Italia la benzina viaggia a 1,18 euro al litro, il gasolio (che da noi è già il più caro d’Europa) è al suo top, 1,015 euro.


            Un allarme plurimo, per così dire: per la crescita mondiale, che potrebbe risentirne fino a mezzo punto percentuale (e forse anche di più), per i visibili rincari della benzina, per i costi aggiuntivi che pesano sulle imprese (e che finiscono per venire scaricati anche sui consumatori). Allarme per gli effetti complessivi sul tasso d’inflazione. «Basti pensare che ogni 3 centesimi di aumento dei carburanti significano lo 0,1% in più sul tasso d’inflazione», spiega Rosario Trefiletti dell’Intesa consumatori.


            In più c’è il riscaldamento, che giusto tra pochi giorni verrà acceso nella maggior parte delle case italiane: «Abbiamo calcolato che costerà tra i 130 e i 150 euro in più rispetto all’anno scorso - dice ancora Trefiletti - Vanno aggiunte le prossime bollette della luce, più cara dell’1,2%, e del gas, che aumenterà dello 0,8%».


            E poi c’è l’allarme scorte. Anzi, secondo l’economista francese Jean-Paul Fitoussi è proprio questo «il vero problema: il progressivo esaurimento delle risorse nel XXI secolo, che si tradurrà in costanti aumenti del prezzo del greggio». Anche il governo Usa si è espresso: le scorte sono in calo, oggi c’è quasi il 5% in meno di combustibile disponibile rispetto ad un anno fa, e i prezzi rimarranno alti per l’intero 2005.


            In tutto questo, il governo spicca per mancanza di politiche adeguate. Eppure, una maggioranza che sta tagliando il tagliabile per cercare di ridurre le tasse a livello nazionale (mentre aumenta quelle locali), potrebbe almeno iniziare a diminuire l’accisa sul carburante, che fa più della metà del prezzo finale della benzina. «Il governo invece si rifiuta di mettere mano a questa situazione: più aumenta il carburante, più aumentano i suoi ricavi, quindi non fa nulla per arginare l’impatto del prezzo del petrolio sui consumatori - dice Beniamino Lapadula, segretario confederale Cgil - In più, noi paghiamo l’inefficienza della rete distributiva e la mancanza di concorrenza, perchè di fatto c’è un cartello che controlla l’intera distribuzione, già sanzionato dall’Antitrust, ma senza reali conseguenze sull’apertura al mercato».


            Il governo potrebbe fare molto, ricordano i consumatori, anche per innovare la rete distributiva della corrente elettrica e, quanto alla benzina, aprire alla grande distribuzione. Un combinato disposto che, dice Trefiletti, «significherebbe un risparmio di 6-7 centesimi al litro».


            Anche Paolo Baretta, della segreteria nazionale Cisl, parla di «gravissima sottovalutazione della situazione da parte del governo», e si dice convinto che «in Italia non ci sarà alcuna ripresa». «Anche dovessimo crescere dello 0,8% - spiega - saremmo così distanti dal resto del mondo, con cui pure competiamo, che di fatto saremmo in recessione. Oltretutto, con la nuova Maastricht per l’allargamento ai Paesi in entrata, non è scontato che si resti nella prima serie. Anzi...».


            Economisti ed esperti concordano: nonostante tutto, non siamo alle crisi petrolifere degli anni Settanta. «Questo però non significa che gli effetti degli aumenti non siano rilevanti - dice l’economista Marcello Messori - anche perchè il prezzo-soglia era di 50 dollari al barile, oltre il quale gli effetti su inflazione e quindi tasso di crescita, si è sempre detto, sarebbero stati significativi». «È chiaro - riprende Messori - che nella corsa del greggio ci sono anche elementi strutturali, quali l’aumento della domanda in particolare di Cina e India. Allora: o questi Paesi interrompono il tasso di crescita, oppure il loro andamento diventa un dato strutturale che squilibra domanda e offerta». E con cui, quindi, bisogna fare i conti.


            Di fatto, la corsa dei prezzi petroliferi è al centro del dibattito sulle prospettive della ripresa economica mondiale e delle previsioni macroeconomiche. Intrecciata in modo indissolubile alla guerra in Iraq e al fosco scenario internazionale.


            Come ha detto ieri il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet: gli effetti sulla dinamica dei prezzi al consumo si sono già visti, prezzi che difficilmente potranno scendere nell’Eurozona sotto il 2% di qui a fine d’anno. Più ancora che la ripresa dell’economia mondiale, insomma, il problema attuale è che il caro-greggio potrebbe minare la stabilità delle imprese, dei prezzi e di conseguenza il potere d’acquisto.