Pagina 1 e 28 - Commenti l’equivoco continua La lunga vicenda dei call centers - una storia fatta di elusione delle regole, di precariet? strutturale, di bassi salari, in una parola, per usare il sempre espressivo linguaggio di un tempo, di sfruttamento del lavoro - sta per avviarsi a una positiva conclusione? Forse s? (o forse non ancora). Poco tempo fa s'? appreso, da notizie giornalistiche, che un'ispezione dei funzionari della direzione provinciale del lavoro presso il ben noto call center Atesia si sarebbe conclusa con l'accertamento della natura subordinata delle prestazioni lavorative. Sembrava aperta, dunque, la strada per riconoscere ai lavoratori dei call centers i diritti finora loro negati, andando oltre difficolt? ed ostacoli risultati sino ad oggi insuperabili dalla stessa azione sindacale. Al raggiungimento di questo esito felice avrebbe potuto contribuire la circolare annunciata e poi effettivamente emanata dal ministero del lavoro. La circolare, in effetti, esprime lo sforzo di arginare il fenomeno del lavoro autonomo fittizio, da sempre diffusissimo nel settore, e si sarebbe potuta rivelare davvero assai utile: letta attentamente, peraltro, neppure essa appare risolutiva, non essendosi riusciti ad evitare, neppure in questa occasione, alcuni equivoci di fondo, sempre incombenti quando si discute della distinzione fra lavoro autonomo e lavoro subordinato. La circolare dedica pochissimo spazio agli addetti ai call center da impiegare come lavoratori subordinati, soffermandosi piuttosto ad illustrare le caratteristiche che, nel settore, deve presentare il lavoro a progetto (per questo stesso, dunque, legittimando l'impiego di questa tipologia contrattuale). L'orientamento espresso ? quello di considerare senz'altro riconducibili al lavoro subordinato i rapporti di lavoro degli addetti a call centers che operano rispondendo a chiamate degli utenti (in bound). Diverso sarebbe il caso dei lavoratori impiegati per specifiche campagne pubblicitarie (out bound), che potrebbero continuare ad essere utilizzati attraverso lo schema della collaborazione a progetto, dunque come lavoratori autonomi. A fronte di simile impostazione, non sembra forzato il dubbio che il calvario dei lavoratori dei call centers sia ancora lungi da un accettabile punto di approdo. Dovrebbe infatti essere di tutta evidenza il malinteso su cui la circolare risulta costruita. La circostanza che un imprenditore persegua un obiettivo produttivo circoscritto nel tempo, infatti, di per s? non legittima, per il perseguimento di tale obiettivo, l'impiego di lavoratori autonomi (?a progetto?). Se quei lavoratori, privi di una sia pur minima organizzazione produttiva propria, sono destinati ad operare in un contesto organizzativo altrui, come tipicamente avviene per tutti gli addetti ai call centers, essi restano a tutti gli effetti lavoratori subordinati, da impiegarsi necessariamente come tali, con tutti gli oneri retributivi, normativi e contributivi che ne conseguono, sia pure (eventualmente) attraverso un'assunzione a tempo determinato, qualora ne ricorrano i presupposti legali giustificativi. Per rendersene conto, del resto, basti pensare all'eventualit?, tecnicamente senz'altro possibile, che il medesimo lavoratore sia impiegato vuoi per rispondere alle chiamate dell'utenza, vuoi per promuovere specifiche campagne pubblicitarie: si vorrebbe forse sostenere che quel lavoratore sia subordinato quando risponde al telefono A, per trasformarsi, un attimo dopo, in libero professionista della cornetta quando aziona l'apparecchio B? Vero ? che la circolare cerca di piantare qualche paletto, atto ad individuare l'area del lavoro autonomo genuino: tentativo lodevole, ma sfortunatamente inficiato da una concezione tanto arcaica, quanto astratta del lavoro subordinato. ? evidentemente una concezione del genere che permette di immaginare che si abbia lavoro subordinato nei call center (solo) a fronte delle attivit? in bound, svolte da lavoratori che si limiterebbero a mettere a ?disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche...?: come se la caratteristica del lavoratore subordinato fosse quella di erogare un'attivit? purchessia, e non fosse invece vero che anche i lavoratori subordinati sono tenuti allo svolgimento di una prestazione che comporti, per il datore di lavoro, un risultato utile a fini produttivi. ? la medesima concezione che porta ad individuare un criterio caratterizzante del lavoro autonomo (a progetto) nella circostanza che gli operatori addetti ad attivit? out bound avrebbero la possibilit? di autodeterminare il proprio ritmo di lavoro: come se il lavoro subordinato dovesse necessariamente coincidere con quello dell'operaio alla catena di montaggio, e non esistessero invece milioni di lavoratori pacificamente subordinati, i cui ritmi di lavoro non sono rigidamente predeterminati. La circolare, ad ogni modo, cerca di essere pi? stringente, ipotizzando che il collaboratore a progetto di un call center, per essere veramente tale, non dovrebbe essere soggetto ad alcun vincolo di orario e dovrebbe, viceversa, essere libero di eseguire o meno la prestazione lavorativa, di scegliere in quali giorni effettuarla, a che ora iniziarla e quando cessarla, ecc. Ora, a parte il fatto che ? veramente difficile immaginare un'organizzazione produttiva che si affidi a collaboratori tanto volatili, c'? da chiedersi se una prestazione con le caratteristiche indicate non somigli come una goccia d'acqua a quel lavoro intermittente (job on call), che il programma dell'Unione, come il ministro del lavoro ha pi? volte ricordato, si propone di cancellare (pur trattandosi di una forma, quantunque particolarmente precaria, di lavoro subordinato). La stessa circolare, del resto, ammette che il contratto di lavoro a progetto possa stabilire fasce orarie di svolgimento della prestazione del collaboratore; specifica che il committente finale della singola "campagna" ? individuato (ovviamente, verrebbe da dire) dal gestore del call center, al quale spetta anche di stabilire la durata della campagna, il tipo di attivit? richiesta al collaboratore (promozione, vendita, sondaggi ecc.), persino la tipologia della clientela da contattare. Domanda: non si tratta, appunto, dell'elenco di caratteristiche che si potrebbero rintracciare nella prestazione di un lavoratore subordinato? Per arrivare a questa conclusione, naturalmente, occorrerebbe prendere le distanze in maniera chiara e netta dalla mistificazione del lavoro a progetto: diversamente, per la maggior parte dei lavoratori del settore il problema della precariet? del lavoro appare destinato a rimanere aperto. Resta aperta, in particolare, la questione del trattamento applicabile, a partire da quello retributivo, rispetto al quale la circolare, forse non casualmente, ? assolutamente muta (come saranno remunerati i lavoratori impiegati nelle attivit? out bound? Solo per le chiamate andate a buon fine? E chi stabilisce se una chiamata deve considerarsi tale?). Se ci si volesse chiarire le idee su cosa debba intendersi per lavoro subordinato, del resto, lo si potrebbe fare senza troppe difficolt?, prestando pi? attenzione alla giurisprudenza della Corte costituzionale: la quale ha ben spiegato che si ha subordinazione, nel senso giuridico (ed economico) del termine, tutte le volte in cui una prestazione lavorativa venga svolta nel contesto di un'organizzazione produttiva altrui ed in vista di un risultato di cui il titolare dell'organizzazione ? immediatamente legittimato ad appropriarsi. ? quello che, appunto, accade ai lavoratori dei call centers (in bound o out bound che siano): i quali tutti operano senza, sia pur minimi, mezzi produttivi propri e non accedono direttamente al mercato (come invece non pu? non verificarsi nel caso del vero lavoro autonomo). Sulle collaborazioni coordinate e continuative ? necessario muoversi, ad un tempo, con prudenza e rigore: non solo per ragioni di equit? sociale, ma anche perch? suscitare delusioni nei diretti interessati per il governo dell'Unione rischierebbe di essere politicamente deleterio. |
"Commenti" Call center: l’equivoco continua
di Admin
mercoledì 27 ottobre 2021