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intervista APPELLO ALLA TRIANGOLAZIONE PER FISSARE NUOVE REGOLE. OBIETTIVO: LIBERARE RISORSE IMPORTANTI Roberto Giovannini ROMA Insomma, i «pubblici» aumenti più consistenti non devono aspettarseli. «Dico che il pubblico impiego, settore protetto, è meglio pagato del settore privato, esposto alla concorrenza. E che non si possono creare ulteriori distorsioni: nel 2004, nel privato gli incrementi contrattuali si sono situati tra gli 80 e i 90 euro. Qui ce ne sono sul tavolo 95. Detto questo, il settore pubblico è complesso, centrale per l’economia italiana. Il problema non è se le risorse sono troppe o poche, ma se si distribuiscono in modo efficiente. Per questo bisogna prima chiudere il contratto, e poi cambiare il sistema contrattuale, proprio a partire dal pubblico impiego». Ma il leader Cisl Pezzotta afferma che è materia di spettanza delle parti sociali. «Guarda caso, nel pubblico impiego le “parti sociali” sono proprio il governo e i sindacati. Siamo pienamente legittimati. Perché sindacati e imprenditori dovrebbero respingere la proposta del governo di avviare una riflessione sul tema? Anche per la scala mobile fu il settore pubblico a fare da apripista per il privato. Del resto, le nostre proposte altro non sono che la sintesi del dibattito di questi anni». Come dovrebbe cambiare il contratto nazionale? «Intanto, si dovrebbe prolungare la vigenza contrattuale ad almeno tre anni. Secondo, non si deve più usare come base per le richieste salariali l’inflazione programmata, ma l’inflazione effettiva attesa nel triennio a venire. Oggi siamo tutti un po’ ipocriti: il governo stanzia risorse tarate su di un’inflazione programmata inferiore a quella attesa, il sindacato fa l’opposto. Facciamo tutti finta di ottemperare agli accordi del ‘93, ma in realtà produciamo solo tensioni e complicazioni». E se c’è una fiammata inflazionistica? «Si possono immaginare meccanismi di garanzia per il recupero salariale. Non certo la scala mobile, però». E il secondo livello contrattuale? «Bisogna spostare più risorse al livello decentrato per favorire gli aumenti di produttività, misurata, e remunerata ex post. Possiamo utilizzare anche la leva del Fisco, ad esempio alleggerendo il prelievo sul salario erogato a livello decentrato. Si può introdurre più flessibilità». Eppure, il sindacato afferma che la riforma contrattuale riguarda le parti sociali e non la politica. «Vorrei ricordare a tutti che gli accordi del ‘93 sono stati firmati a Palazzo Chigi, non a Viale dell’Astronomia o a Via Po. C’è sempre stata una triangolazione. Se non la si vuole più lo si dica, e allora ci saranno regole per il sistema privato diverse da quelle del sistema pubblico». Tuttavia, al centro di quell’intesa ci fu più del sistema contrattuale: la concertazione, la politica dei redditi… «Il sindacato può accettare o respingere la nostra proposta, e cercare di avviare la riforma dal settore privato. Vediamo, ma non mi pare che si siano fatti grandi passi avanti: alla prima occasione in cui la riforma contrattuale è stata evocata, nel luglio del 2004 da Confindustria, Epifani si è alzato e se n’è andato. Io penso che il governo abbia legittimità a parlarne, come datore di lavoro pubblico, e come rappresentante degli interessi generali del Paese. Perché un sistema di relazioni sindacali efficiente è interesse del Paese». |
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“Intervista” R.Brunetta: intesa con gli statali, poi rivediamo l’accordo del ‘93
01/04/2005