23/5/2002 ore: 0:00

Indennità di disoccupazione per i part-time ciclici

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Roma, 17 maggio 2002

Oggetto: indennità di disoccupazione per i part-time ciclici

                                Alle FILCAMS Regionali
                                e Comprensoriali
                                Agli Uffici Vertenze

                                L O R O S E D I
Vi informiamo che recentemente la Corte di Appello di Firenze ha rimesso in discussione quanto dichiarato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 03746 del 24/09/99, riconfermando il diritto all’indennità di disoccupazione di una lavoratrice dipendente di una mensa scolastica, per il periodo di inoccupazione nei mesi di intervallo non lavorati.

La Corte di Appello di Firenze ha ben argomentato tale diritto, richiamando per conformità la Sentenza della Corte Costituzione n. 160 del 1974 e la sentenza della Corte di Cassazione n. 1141 del 10/2/99 che ben conoscete. Da queste emerge che è lo stato di disoccupazione involontaria, il requisito che rende la disoccupazione indennizzabile e che, la disoccupazione conseguente al periodo di sosta, non può considerarsi volontaria.

Poiché la questione è di particolare rilevanza, riteniamo utile la massima informazione che coinvolga tutte le lavoratrici e i lavoratori con contratto part-time ciclico, non solo quelle/i che operano nell’area scolastica (mense e imprese pulizia) ma, come ovvio, tutte le lavoratrici e i lavoratori part-time che hanno un periodo di non lavoro nel corso dell’ anno.

Nell’attesa che si arrivi ad un orientamento giurisprudenziale univoco e, come sembra, alla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezione Unite, riteniamo altresì utile dare alcune indicazioni di massima che emergono dalle sentenze più recenti, nel proporre la domanda all’INPS.
Riguarda la Indennità di disoccupazione ordinaria (e non quella a requisiti ridotti) ed è necessario corredare la domanda con :
  • l’iscrizione all’Ufficio collocamento (per dimostrare la volontà occupazionale della lavoratrice/ore anche negli intervalli non lavorati);
  • allegare la comunicazione di sospensione da parte del datore di lavoro;
  • rispettare i termini previsti per la presentazione della domanda all’Inps, pena la decadenza.

Ovvio il requisito contributivo: almeno 52 contributi settimanali nell’ ultimo biennio.
In attesa di ulteriori nuove, vi alleghiamo la Sentenza in questione.

Cordiali saluti
                            P.la FILCAMS Nazionale
                            (M.Ioli)
All. 1


CAPPELLI MARIA GRAZIA, rappresentata a difesa degli Avv.ti Gabriella Del Rosse e Giovanna Fiesoli, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Firenze, Via Guido Monaco, 25, come da mandato a margine dell’atto introduttivo del giudizio
                                      Appellata
CONCLUSIONI

PER L’APPELLANTE
Voglia l’Eco.ma Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento del presente appello riformare la sentenza impugnata statuendo: a) la nullità ; della domanda giudiziaria proposta in primo grado da Cappelli Maria Grazia; b) in subordine respingere nel merito la domanda stessa per non spettanza dell’indennità richiesta e mancata dimostrazione dei requisiti di legge. Vinte le spese.

PER L’APPELLATA
Si conclude affinché la Corte di Appello di Firenze, confermando la sentenza del Tribunale di Firenze n. 1034/2000, rigetti il ricorso presentato dall’INPS.
Con vittoria di spese e di onorari di entrambi i gradi del giudizio, da distrarsi a favore dell’Avv. Gabriella Del Rosso antistatario.

OGGETTO: indennità di disoccupazione ordinaria; compete ad una lavoratrice a part time verticale, anche allorquando i periodi complessivamente lavorati nel corso dell’anno superino i sei mesi – caso di un’ addetta ad una mensa scolastiche che lavora per nove mesi l’anno, rimanendo il rapporto di lavoro sospeso nel periodo estivo.
Svolgimento del processo

Come ricorso depositato in data 13 dicembre 2000, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale propone appello avverso la sentenza n. 1034/2000, emessa dal Giudice del Lavoro del tribunale di Firenze il giorno 11 ottobre 2000 con la quale l’istituto deducente è stato condannato al pagamento in favore della ricorrente Cappelli Maria Grazia dell’ indennità di disoccupazione relativa all’anno 1999 per il periodo indicato nella domanda amministrativa, oltre interessi legali dal 7.9.1999 al saldo ed oltre a spese di lite.
Con il ricorso in primo grado la Cappelli deduceva di essere dipendente della S.r.L. Pedus Service P. Dussmann, addetta ad un centro di cottura che serve le mense scolastiche. Precisava, poi, la ricorrente di avere stipulato con la datrice un contratto di lavoro a tempo indeterminato ed a part time, sia verticale che orizzontale (ai sensi dell’art. 5 della Legge 19.12.1984 n. 863); infatti il rapporto di lavoro rimaneva sospeso durante le ferie scolastiche dal 29 giugno al 20 settembre. La Capelli conveniva, quindi, in giudizio l’I.N.P.S. e ne chiedeva la condanna al pagamento in proprio favore dell’indennità di disoccupazione ordinaria, che essa aveva inutilmente richiesto con domanda amministrativa del 19.7.1999 e con successivo ricorso amministrativo del 15.11.1999.
L’istituto, ritualmente costituitosi, deduceva, in via preliminare, la nullità della domanda – per omessa indicazione del tipo di indennità richiesta, se con requisiti ordinari o ridotti, e per la mancata specificazione del periodo di riferimento -. L’istituto previdenziale, sempre in via preliminare, eccepiva altresì la decadenza dal beneficio, ai sensi dell’art. 129 ult.co del R.D.L. n. 1827/1935 per la tardiva presentazione della domanda amministrativa. Nel merito l’ I.N.P.S. deduceva l’infondatezza della domanda per carenza dei requisiti previsti ex legge per il diritto alla prestazione – sussistenza della disoccupazione e, quindi, prova della cessazione del rapporto di lavoro, l’ ;iscrizione nelle liste di collocamento - . Evidenziava, ancora, come nei contratti a part-time verticali non fossero indennizzabili le pause non lavorate.
La causa, apparendo documentalmente istruita, è stata decisa, senza svolgimento di alcuna attività istruttoria, dal tribunale di Firenze nei termini sopra richiamati con la sentenza in questa sede impugnata.
Con l’atto di appello l’I.N.P.S. ripropone l’eccezione di nullità della domanda introduttiva, già sottoposta all’esame del primo giudice ed implicitamente rigettata.
Deduce, poi, l’appellante che la Cappelli non ha fornito la prova della sussistenza dei requisiti per aver accesso all’indennità di disoccupazione – un’anzianità assicurativa di almeno due anni, nonché il possesso di almeno 52 contributi settimanali nell’ultimo biennio - .Infine da parte dell’istituto previdenziale si richiama una recente sentenza della Cassazione – la n. 3746 del 28.3.2000 – in base alla quale, da una corretta esegesi della normativa in subiecta materia si evince che l’indennità di disoccupazione, nel caso di lavoro discontinui, spetta solo ai lavoratori che siano occupati fino a sei mesi in un anno: ne consegue, a giudizio dei giudici di legittimità e dell’ odierno appellante, che l’indennità in esame non compete a quei lavoratori a tempo parziale verticale che, addetti ad atttività di refezione scolastica con un periodo di sospensione da giugno a settembre, sono occupati per nove mesi l’anno. Al termine delle proprie difese l’ istituto appellante formula le conclusioni riportate in epigrafe.
Da parte dell’appellata, ritualmente costituita, si eccepisce l’ infondatezza delle censure sia di rito che di merito, mosse ex adverso alla sentenza di primo grado, di cui si chiede la conferma. In particolare si evidenzia la ricorrenza nella specie dei requisiti contrubutivi di cui all’ ;art. 19 del D.D.L. n. 636/1939, in ogni caso da ritenere integrati, in forza del principio dell’automatismo delle prestazioni, dalla circostanza, documentata che la deducente svolge attività lavorativa soggetta a contribuzione. Infine da parte della difesa dell’appellata viene diffusamente criticata la recente sentenza della Cassazione richiamata da controparte, che, nell’escludere dal beneficio i lavoratori con rapporto a part-time verticale di durata superiore a sei mesi annui, fornisce un’ interpretazione contrastante sia con la previsione testuale che con la ratio della norma di cui all’art. 40-9 del R.D.L. n. 1827/1935, nonché con la sua precedente pronuncia – la n. 1141/1999 – con quella della Corte Cost. – sentenza n. 160/1974 –
La causa ha subito, a richiesta dei difensori delle parti, alcuni rinvii in attesa che le Sezioni Unite della Cassazione, investite della questione interpretativa in esame, si pronunciassero. Non essendo intervenuta tale sentenza entro un “più che ragionevole arco temporale”, la causa, dell’udienza di discussione del giorno 26 marzo 2002, è stata decisa come da separato dispositivo letto in aula.
Motivi della decisione

L’appello è infondato e deve essere respinto.
Alcuni brevi rilievi sulle questioni preliminari:

A) l’eccezione di decadenza ex art. 129 ult.co delle RDL n. 1827/1935 – in relazione al termine di sessanta giorni dall’inizio della disoccupazione indennizzabile per la presentazione della domanda di richiesta della prestazione -, presentata in primo grado e non espressamente riproposta in appello, si intende rinunciata ex art. 346 e 329 c.p.c. Sul punto, in applicazione del principio devolutivo dell’appello si è formato il csd. giudicato interno .

B) L’eccezione di nullità per asserita indeterminatezza della domanda, riproposta dall’INPS in questa sede è infondata. In ordine all’evidenziata mancata specificazione nel corpo del ricorso in primo grado del tipo di indennità rivendicata (se quella ordinaria oppure quella a requisiti ridotti) e del periodo per il quale la prestazione è richiesta, è sufficiente osservare: a) dalla documentazione relativa alla fase amministrativa – in particolare i doc. nn. 2 e 3 di parte ricorrente – appare evidente che la richiesta era relativa all’ indennità di disoccupazione ordinaria.
Se quindi la fase amministrativa si è chiusa negativamente con il rigetto della richiesta della Cappelli di poter fruire dell’ indennità di disoccupazione ordinaria, non pare davvero dubitabile che il successo ricorso giudiziario, con cui si rivendica l’indennità di disoccupazione relativa all’anno 1999, abbia ad oggetto la medesima prestazione di cui si è discusso in sede amministrativa – b) dalla documentazione prodotta (libretto di lavoro evidenziante le precedenti attività lavorative, copia del contratto di lavoro, evidenziante la tipologia del rapporto di lavoro part-time verticale per circa nove mesi annui) si evince chiaramente che la richiesta non puo’ che essere riferita alla indennità di disoccupazione ordinaria – c) in riferimento al periodo per il quale l’indennità è richiesta è sufficiente osservare che nella domanda amministrativa e nel successivo ricorso al Comitato Provinciale dell’I.N.P.S. viene espressamente indicato il periodo di riferimento: 12.6.1999 – 24.9.1999: in ogni caso appare evidente che questo coincide con quello di sospensione del rapporto di lavoro, durante i mesi estivi in cui le scuole rimangono chiuse. Tali indicazioni ben contenute nella documentazione prodotta, si ricavano, comunque, agevolmente anche dal tenore testuale del ricorso, “correlando” quanto esposto ai nn. 1 e 2 dell’atto introduttivo, per le ragioni sopra esposte il ricorso, pur nella sua stringatezza, soddisfa i requisiti di contenuto – forma – con sufficiente esposizione dei fatti e delle ragioni di diritto che lo sostengono – voluti dagli articoli 442- 414 c.p.c.

C) Sull’eccezione di mancata prova della ricorrenza dei requisiti contributivi di cui all’art. 19 del RDL n. 636/1939 (consistenti in due anni di anzianità assicurativa con obbligo di contribuzione contro la disoccupazione e in almeno un anno di contribuzione contro la disoccupazione e in almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente all’inizio del periodo di disoccupazione), è sufficiente rilevare che dalla documentazione prodotta, sia in primo grado in appello (si tratta di prove precostituite di provenienza o dallo stesso I.N.P.S., o da altri soggetti pubblici, come tali, per pacifica giurisprudenza di legittimità, ammissibili in appello, ex art. 437 comma 2 c.p.c.), emerge che la Cappelli ha svolto da anni di attività lavorativa soggetta ai requisiti di cui all’art. 19 del R.D.L. cit. (v. copia del libretto di lavoro v. certificato del datore di lavoro per l’anno 1998 – da cui si evincono le trattenute per contributi previdenziali -, v. Mod 01/M – aut relativo all’anno 1997, rilasciato dall’INPS - ) in ogni caso, in forza del principio dell’automatismo delle prestazioni, di cui all’art. 27 del R.D.L. n. 636/1939, il requisito contributivo “ si intende verificato anche quando i contributi non siano stati effettivamente versati, ma risultano dovuti” sempre che il rapporto di lavoro risulti “ da documenti o prove certe” – come nella fattispecie - . Da rilevare infine, - anche se nel punto l’I.N.P.S. in appello non ha “fatto questione”, che la Cappelli in data 19 luglio 1999 inserisse nelle liste di collocamento – v. doc. n. 6 di parte ricorrente -.
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Venendo, quindi, al “punto centrale” della controversia – relativo alla spettanza del beneficio ad un soggetto che abbia in corso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con part-time verticale, prevedente una sospensione annua inferiore ai sei mesi -, osserva la Corte come, ai sensi dell’art. 73 del R.D.L. n. 1827/1935, sia prevista la corresponsione dell’indennità di disoccupazione involontaria con decorrenza dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione del lavoro.
La norma non richiede l’estinzione del rapporto di lavoro ne’ la necessità di tale requisito si puo’ dedurre dal rinvio del successivo articolo 77 al regolamento del 1924 che all’art. 44 prevede la presentazione di una domanda corredata dall’attestazione del licenziamento. Lo stesso R.D.L. cit. , infatti, stabilisce che quando la disoccupazione derivi da dimissioni il periodo indennizzabile è ridotto di trenta giorni dalla data di cessazione del lavoro. La domanda, da presentarsi a norma dell’art. 77 “ nei modi e nei termini stabiliti dal regolamento” , va quindi corredata dalla documentazione della cessazione del lavoro, la quale è specificamente indicata (v. artt. 44 e 45 del Regolamento) per la sola ipotesi di licenziamento.
Secondo i giudici di legittimità – v. la sentenza n. 1141/1999 della Sezione Lavoro della Cassazione, richiamata dal primo giudice – “ un periodo di sospensione del rapporto di lavoro, di assenza quindi della prestazione di lavoro come di retribuzione, è un periodo di disoccupazione, non diversamente da un eguale intervallo di tempo al cui inizio un imprenditore si sia impegnato ad assumere il lavoratore al termine dell’intervallo stesso. Non sembra, cioè rilevante, al fine di escludere lo stato di disoccupazione, l’esistenza di un vincolo contrattuale che assicuri in un momento futuro di lavoro e la retribuzione” ;.
Si tratta di stabilire se la disoccupazione risultante dagli intervalli non lavorati di un rapporto a part-time verticale possa considerarsi davvero involontaria e non l’effetto di una scelta consapevolmente assunta dal lavoratore che, nella valutazione dell’ assetto dei suoi interessi, abbia liberamente optato per un rapporto di lavoro di tale natura. E sul punto si incentra una delle doglianze dell’istituto appellante.
Al riguardo è sufficiente rilevare che per il conseguimento della prestazione in esame, l’assicurato deve provare l’iscrizione all’ ;ufficio di collocamento – art. 75 del R.D.L. citato – consentita dall’art. 5 del D.L. n. 726/84, conv. in legge n. 863/1984, per il lavoratore avviato a tempo parziale, sia nella lista ordinaria che in quella a tempo parziale. Tale iscrizione dimostra, “per facta concludentia” , la volontà occupazionale del lavoratore anche negli interventi non lavorati, così che la stessa è incompatibile con un assetto a tempo parziale del rapporto di lavoro frutto di una libera opzione del lavoratore. Sul punto si richiama, altresì, la sentenza n. 7839/1998 della Sez. Lav. della Cassazione, in cui si afferma che alle lavoratrici a tempo parziale verticale annuo spetta la indennità di disoccupazione negli intervalli non lavorati, (e, in suo luogo, l’indennità di maternità in cui la indennità di disoccupazione si converte a norma dell’art. 17 comma 3 L. n. 1024/1971).
Ed ancora la Suprema Corte, con una recente Sentenza – Cass. Sez. Lav. n. 3746/2000 – richiamandosi sulla sentenza n. 160/1974 della Corte Costituzionale – interpretativa di rigetto della questione di costituzionalità dell’art. 76 comma 1 del R.D.L. cit. – ha ribadito che l’involontarietà dello stato di disoccupazione non coincide con la non prevedibilità della stessa, dovendosi ritenere sussistente la disoccupazione involontaria anche quando “ la prestazione lavorativa è calata in un quadro temporale non continuativo in ragione del particolare assetto di un determinato tipo di attività lavorativa”.
Con riguardo a quest’ultima pronuncia – invocata dall’istituto appellante a sostegno del gravame -, la Suprema Corte, giudicando in una fattispecie del tutto analoga alla presente – anche in tal caso si trattava di addette a mense scolastiche, impegnate al lavoro per nove mesi l’anno – ha affermato specificamente sul punto che l’ attività dei lavoratori con part-time verticale è equiparabile, ai fini dell’indennità di disoccupazione, alle lavorazioni stagionali di cui all’art. 40 n. 9 del R.D.L. n. 1827/1935; ne consegue che “ il diritto all’indennità di disoccupazione è riconosciuto soltanto ai lavoratori con part-time c.d. verticale con contratto di durata annua inferiore ai sei mesi”.
Tale conclusione, nonostante l’autorevolezza della fonte, non appare condivisibile a giudizio di questo Collegio.
Al riguardo, va osservato che, ai sensi dell’art. 37 del R:D:L: n. 1827/1935 – conv. con modifiche nella L. n. 1155/1936), viene fissato il principio generale della obbligatorietà delle “ assicurazioni per la invalidità e la vecchiaia e per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, salvo le esclusioni stabilite dal presente decreto” in relazione a tutti i soggetti compresi tra i 15 ed i 65 anni di età “che prestino lavoro retribuito alle dipendenze di altri”.
All’art. 40 in relazione all’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria, vengono tassativamente elencati i lavoratori che, in via d’eccezione, restano esclusi dall’ambito della tutela. Al n. 8 dell’elenco vengono previsti “coloro che solo occasionalmente prestano l’opera loro alle dipendenze altrui”, mentre al n. 9 sono indicati “coloro che siano occupati esclusivamente in lavorazioni che si compiano annualmente in determinati periodi di durata inferiore ai sei mesi”.
All’art. 76 del R.D.L. in esame, poi, è prevista la non spettanza dell’indennità di disoccupazione “nei periodi di stagione morta, per le lavorazioni soggette a disoccupazione stagionale, e quella relativa a periodi di sosta, per le lavorazioni soggette a normali periodi di sospensione”.
Le lavorazioni soggette a disoccupazione stagionale o a normali periodi di sospensione devono essere individuate con D.M. – v. art. 76 comma 2 cit. – un elenco delle lavorazioni in questione è stato fissato con D.M. 20 marzo 1957.
La Corte Cost., con la richiamata sentenza interpretativa di rigetto n. 160/1974 ebbe a chiarire il concetto di disoccupazione involontaria.
La ratio delle esclusioni di cui all’artt. 40 nn. 8 e 9 era da individuarsi all’evidenza, nella occasionalità e discontinuità dei lavori svolti – comunque inferiori a sei mesi annui -, in relazione ai quali non si vollero “appesantire i costi aziendali” con gravosi oneri contributivi, sacrificando, pero’, in tal modo proprio quei lavoratori che, per la sporadicità dell’attività lavorativa prestata nel corso dell’anno, non raggiungevano di certo i parametri retributivi minimi, che sarebbero stati successivamente contemplati all’art. 36 Cost.
Alla situazione è stato posto rimedio in via legislativa – tenuto conto delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale - con l’art. 1 comma 2 del D.L. 29.3.1991 n. 108, conv. in Legge n. 169/1991, che ha esteso l’assicurazione contro la disoccupazione – a decorrere dall’anno 1990: per gli anni 1988 e 1989 avevamo, in via provvisoria, disposto l’ art. 7 comma 3 del D.L. n. 86/1988 conv. in Legge n. 160/1988 e l’art. 1 comma 1 del D.L. n. 108/1991 – “..ai lavoratori di cui ai punti 8 e 9 dell’art. 40 del regio decreto legge – 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito, con modificazioni dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155”.
La Cassazione con la richiamata sentenza, ritiene che “ il legislatore, intervenendo nel 1991 a disciplinare positivamente l’ estensione dell’indennità di disoccupazione ai lavoratori ad occupazione discontinua e quindi anche a quelli la cui prestazione a tempo parziale era già disciplinata dal preesistente art. 5 del d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, a sancito l’estensione nei limiti dell’art. 40 n. 9 …. per i soli lavoratori che siano occupati parzialmente fino a sei mesi l’anno”.
Francamente questo “passaggio”, appoditticamente affermato dalla Suprema Corte, non sembra convincente alla luce della previsione testuale e della reatio complessiva della disposizione del richiamato art. 40 n. 9 del R.D.L. n. 1927/1935.
Infatti, come sopra evidenziato, la regola generale, di cui all’art. 37, prevede l’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria per tutti i soggetti – di età compresa tra i 15 ed i 65 anni – che svolgano attività lavorativa retribuita alle dipendenze di terzi – e tale è certamente il caso della Cappelli -. In via di eccezione – e, quindi, con un’interpretazione di stretto rigore ex art. 14 del Preleggi – tale assicurazione non era prevista, per le ragioni evidenziate, nel caso di lavori occasionali – n. 8 – e di lavori discontinui di durata inferiore ai sei mesi annui – n. 9.
Tale esclusione testuale, tenuto conto della previsione generale e della ratio ad essa sortesa, lascia chiaramente intendere che le “ lavorazioni che si compiano annualmente in determinati periodi di durata” superiore ai sei mesi annui erano già soggette all’assicurazione obbligatorie per la disoccupazione involontaria in forza del richiamato art. 37.
Con la norma dell’art. 1 comma 2 della Legge 169 si è inteso operare un’estensione del beneficio alle due categorie di lavoratori in precedenza escluse – nn. 8 e 9 del R.D.L. cit. -, per cui sarebbe del tutto incongruo escludere dalla tutela l’odierna appellata, alla quale l’indennità di disoccupazione competeva- in presenza dei richiesti requisiti – in forza del principio generale dell’articolo 37.
Né tale conclusione puo’ essere messa in discussione sulla base del rilievo che il contratto di lavoro ha part-time – introdotto con l’art. 5 del d.l. 30.10.1984 n. 726, conv. in L. n. 863/1984, non fosse positivamente previsto dal legislatore del 1935.
Ciò che rileva è che “la disciplina positiva dell’indennità di disoccupazione, quale risultante dai dati legislativi e dalla pronuncia della Corte, già contemplava quelle modalità lavorative temporanee o cicliche che costituiscono il substrato fattuale della successiva disciplina legale del tempo parziale” – così, contraddittoriamente osserva la Corte nella sentenza in esame -.
In buona sostanza si vuole evidenziare come nella disciplina complessiva dell’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria il legislatore avesse tenuto presenti quelle modalità lavorative discontinue o stagionali, che in anni successivi, avrebbero connotato, sia pur inserite all’interno di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il contratto di lavoro a part-time verticale caratterizzato da una prestazione lavorativa concentrata in determinati periodi dell’anno.
Una volta che la stessa Suprema Corte – con la richiamata sentenza n. 1141/1999 – ha riconosciuto che i periodi non lavorati nel csd. part-time verticale, ove accompagnati dall’iscrizione del lavoratore alle liste di collocamento (in base ad espressa previsione legislativa comma 1 dell’art. 5 L. n. 863/84) danno diritto – in presenza dei requisiti di legge – alla indennità in esame – dovendosi ritenere involontaria la disoccupazione in detti periodi -, non vi è ragione di escludere la Cappelli dall’ambito di tutela in base alla disciplina generale dell’ art. 37 del R.D.L. n. 1827/1935.
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Per le ragioni sopra illustrate, pertanto l’appello dell’I.N.P.S. deve essere rigettato con piena conferma della Sentenza impugnata.
Il contrasto giurisprudenziale insorto all’interno della Suprema Corte, in attesa che sulla questione si pronuncino le Sezioni Unite giustifica l’ integrale compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi. In parte qua, pertanto, la pronuncia del primo giudice che ha disposto una diversa disciplina delle spese di lite, deve essere informata.
P.Q..M.

1) Rigetta l’appello
2) Dichiara le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio interamente compensate tra le parti

Firenze, 26 marzo 2002

Il Consigliere Estensore Il Presidente

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
8 aprile 2002
Il Cancelliere
Maria Pia Principalli


Per copia conforme
Firenze 2 maggio 2002
IL CANCELLIERE
L’Operatore Amministrativo
Cristina Filippini